il manifesto 8.2.18
Paura, sospetto, odio: i giorni da incubo di una tranquilla provincia italiana
Reportage.
A Macerata il vaso di Pandora è stato scoperchiato e sono venuti al
pettine i nodi di trent'anni di scellerata politica nazionale
La fiaccolata martedì sera a Macerata per Pamela Mastropietro
di Luca Pakarov
MACERATA
L’equilibrio è fragile e a ogni ora si temono altri inaspettati
risvolti. Per le vie si cammina guardinghi, a ogni sirena della polizia
un fremito, gli immigrati africani abbassano gli occhi e tengono i figli
in casa. A tre giorni dalla tentata strage il clima di Macerata è
tesissimo, con le forze dell’ordine a pattugliare giorno e notte
l’ingresso della città, posti di blocco, elicotteri sulla testa e
schiere di giornalisti in strada.
Ci si sente sotto una cappa
irrespirabile, con gli occhi puntati addosso e dove nascono di continuo
frizioni tra coloro che fino a ieri si frequentavano allo stadio o al
bar. Sembra che questo laboratorio sociale chiamato provincia stia dando
i suoi frutti, diventando un megafono di ogni umore del Paese. Qui
vengono i fascisti a manifestare per la legalità e i politici a farsi
foto, qui vorrebbero inviare più poliziotti malgrado il basso tasso di
delinquenza, qui arriva il ministro degli Interni e quello della
Giustizia, qui c’è chi vuole resistere e con tanta pazienza spiega e
rispiega perché Pamela e Traini siano due storie diverse.
Da un
giorno all’altro ci si sente costretti a scegliere da che parte
schierarsi, senza un dibattito, un ragionamento. Chi martedì sera è
andato alla fiaccolata per Pamela si sente diviso e non comprende chi
sabato avrebbe voluto partecipare alla manifestazione antifascista. Chi
oggi avrebbe voluto manifestare con Forza Nuova crede che i migranti,
malgrado le statistiche reiterate da ogni dove, abbiano invaso la città,
deturpandola e rendendola pericolosa.
Il sindaco ha di fatto
sospeso ogni manifestazione. Sempre martedì alcuni hanno manifestato
davanti al bar Venanzetti dove per ieri era stata indetta la conferenza
stampa di Casa Pound. Qualcuno afferma che forse c’è un lato positivo,
che finalmente le maschere di chi ci vive attorno sono cadute.
La
provincialissima Italia, periferia d’Europa, e la provincia del Paese,
appaiono ora accumunate da un unico destino incattivito. Il vaso di
Pandora è stato scoperchiato. All’inizio si avvertiva soprattutto nella
personalissima provincia di ognuno, quella dei social, con i propri
gruppi, i 200 o 3mila contatti, dove affioravano posizioni sempre più
radicali.
Ma l’odio che una volta sembrava costruito su sole
chiacchiere, da quando si è materializzato è diventato un leviatano
implacabile e oggi esprimersi anche sui social diventa complicato,
perché in provincia poi ci si incontra, ci si conosce. E allora non
guardi e non saluti più allo stesso modo chi ha scritto quello o detto
questo. Non guardi più allo stesso modo chi, anche solo per
sbruffonaggine e analfabetismo, ha solidarizzato con Traini. Da un lato
si ha l’eccitazione, la necessità di esprimere la propria opinione,
dall’altra si vorrebbe attenuare ogni input, tornare nell’oblio e
frenare questa voragine che ci si sta aprendo sotto i piedi.
Stiamo
pagando un prezzo elevatissimo. Gli ultimi trent’anni di scellerata
politica italiana siano arrivati al pettine proprio qui, ora, nella
placida provincia.Traini senza saperlo ha alzato il sipario su una
spaccatura profonda, che non si potrà rinsaldare con una scheda
elettorale. Ci si domanda perché nella sua prima foto in caserma gli è
stato appoggiato sulle spalle il Tricolore? Perché ha potuto girare
quasi due ore percorrendo la mappa dei luoghi che riteneva ostili, fino a
che non ha deciso di costituirsi con un gesto tronfio di significati?
Perché possedeva una Glock? Potrebbero sembrare inezie se non fosse che
in questo momento ogni particolare è essenziale per orientarsi, per
rispondere alle domande di domani o semplicemente a quelle del tuo
collega che ritiene comprensibile che qualcuno si possa incazzare. E in
questo mondo al contrario, la Lega guadagna punti di consenso invece di
soffrirne e, attualmente ci si può scommettere, Traini candidato
prenderebbe migliaia di voti.
Poi escono fuori belle storie, come
quella accaduta nella scuola dove presto servizio. Sabato gli studenti
di una quinta classe al ritorno da teatro, quando già era scattato
l’allarme rosso, nel tratto dalla fermata dell’autobus all’ingresso
della scuola, volontariamente si sono messi in gruppo intorno alla loro
compagna afroitaliana facendole scudo, nascondendola, dopo averla
coperta con sciarpa e cappello. In quel momento è passato Traini con il
braccio teso fuori dal finestrino. Sono gesti che scaldano, che ti
autorizzano a pensare che non tutto sia perduto.
Pare anche che
quella mattina Traini abbia puntato la sua pistola contro un ragazzo
nero che usciva dal supermercato. Però si conoscevano e ha abbassato
l’arma, salutandolo. Ma nemmeno è possibile capire se quest’ultimo
racconto sia reale perché ormai la narrazione del vero è andata a farsi
benedire. Mille storie che si rincorrono e si trasformano e cambiano
direzione con un soffio di vento. Senza esagerare, a volte si ha la
sensazione di essere a Sarajevo negli anni in cui, da un giorno
all’altro, i tuoi vicini, i tuoi amici, i padri dei compagni di gioco di
tuo figlio, se ne vanno e dalle colline ti sparano addosso.