il manifesto 2.2.18
«Dissenso comune» contro il potere
Molestie. Gli abusi e il caso Weinstein, il manifesto delle donne del cinema italiano denuncia il sistema
di Cristina Piccino
Si
intitola Dissenso comune ed è una bella lettera-manifesto firmata da un
gruppo (124) di attrici, registe, montatrici, lavoratrici dello
spettacolo italiane – tra le altre Alice e Alba Rohrwacher, Alessandra
Vanzi, Laura Bispuri, Valeria Golino, Maria Pia Calzone, Roberta Torre,
Francesca Comencini, Anna Bonaiuto, Ilaria Fraioli, Jasmine Trinca – che
prova a fare chiarezza su come le molestie sessuali sono state trattate
dal caso Weinstein in poi.
Un testo elaborato in due mesi di
incontri nel quale si legge: «In molti paesi le operatrici dello
spettacolo hanno preso parola e hanno iniziato a rivelare una verità
così ordinaria da essere agghiacciante… Quando si parla di molestie
quello che si tenta di fare è, in primo luogo, circoscrivere il problema
a un singolo molestatore … Si crea una momentanea ondata di sdegno che
riguarda un singolo uomo di potere. Non appena l’ondata di sdegno si
placa, il buonsenso comune inizia a interrogarsi sulla veridicità di
quanto hanno detto le ’molestate’. Così facendo questa macchina della
rimozione vorrebbe zittirci…».
Al di là della singola denuncia
l’obiettivo che le firmatarie del manifesto rivendicano è dunque quello
di una pratica condivisa indispensabile per mettere in discussione ciò
che il caso i Weinstein ha rivelato: un intero sistema di potere.
Qualcosa,
ci dicono, che ovviamente non riguarda solo la società dello spettacolo
ma ogni luogo di lavoro, ogni mestiere, un sistema organizzato sulla
diseguaglianza e sul ricatto, «sulla sessualizzazione costante e
permanente degli spazi lavorativi».
E ancora: «Perché il cinema?
Perché le attrici?… Loro hanno la forza di poter parlare, la loro
visibilità è la nostra cassa di risonanza. Le attrici hanno il merito e
il dovere di farsi portavoce di questa battaglia per tutte le donne che
vivono la medesima condizione sui posti di lavoro…».
Questa
iniziativa è molto importante per la sua dimensione collettiva, appunto,
ma soprattutto perché fa chiarezza su molti punti affrontati spesso in
modo frammentario, con prese di posizione che si allontanano dagli
obiettivi dei movimenti di protesta delle donne.«Non è la gogna
mediatica che ci interessa» scrivono, ed è un passaggio fondamentale.
Purtroppo infatti movimenti come #Me Too, anche sui media nazionali,
sono stati equiparati alla «caccia alle streghe» finendo per coincidere
agli occhi di molti con un neo-moralismo fustigatorio che prende di mira
in modo indiscriminato le opere d’arte o gli artisti. Un uso
strumentale contrario a quanto invece è la sostanza originaria.
Anche
Hollywood, che assumendo il testimonial è stata decisiva – lo spiega
bene il manifesto: «Le attrici in quanto corpi pubblicamente esposti
smascherano un sistema che va oltre il nostro specifico mondo ma
riguarda tutte le donne negli spazi di lavoro e non» – ha cominciato a
utilizzare in modo normativo tutto questo col rischio di divorarlo.
E
di perdere di vista ciò che è invece la questione fondamentale: quel
sistema di potere che organizza le relazioni, che poggia sulle
disparità, la biopolitica dell’ingiustizia che si è talmente sedimentata
da apparire come assolutamente «normale».
Un modo, come
giustamente si mette in luce qui, per sviare, per rimettere le cose a
posto, per far sì che gli scossoni non siano poi così definitivi.