il manifesto 2.2.18
«Vietare la presentazione di liste legate ai neofascisti»
di Carlo Lania
Per
l’occasione si potrebbe rispolverare un vecchio slogan usato dai
Radicali negli anni ’80: «Fermali con una firma». Chi va fermato è
l’arcipelago di gruppi e grupposcoli di estrema destra che sotto una
miriade di sigle – alcune più conosciute, altre meno – da troppo tempo
si sono appropriati della scena e della strade italiane. A volte
appendendo uno striscione inneggiante al fascismo, altre volte,
purtroppo la maggioranza, con aggressioni contro stranieri, militanti di
sinistra o semplici cittadini finiti nel mirino solo perché aiutano i
migranti, come dimostra l’irruzione compiuta lo scorso novembre dal
Veneto fronte skinhead nella sede dell’associazione «Como senza
frontiere». Ma anche dando vita a una sorta di welfare, distribuendo
cibo e vestiti «solo agli italiani». «Casapound e Forza Nuova esercitano
esplicitamente un presunto compito di vicinanza alla popolazione che in
realtà è un modo di instillare paura, proporre l’idea della fine delle
libertà, della caccia di chi è diverso da te», spiega Susanna Camusso.
La
leader della Cgil interviene al Museo della Liberazione di via Tasso, a
Roma, dove ieri è stato presentato l’appello «Mai più fascismi» con cui
23 tra associazioni laiche e cattoliche (tra le quali Anpi, Arci, Acli,
Aned, Articolo 21, Libera, Uisp), partiti (Leu, Pd, Pci, Prc, L’altra
Europa per Tsipras) e sindacati (Cgil, Cisl, Uil) chiedono alle
istituzioni di impedire alle formazioni neofasciste di presentarsi alle
elezioni e di sciogliere le loro organizzazioni, come previsto dalla
Costituzione ma anche dalle leggi Scelba e Mancino. «Il fascismo che
riemerge è il sintomo di una democrazia malata o almeno pallida e di una
politica che serve poco il bene comune» dice il fondatore di Libera,
don Luigi Ciotti.
La recrudescenza di movimenti legati all’estrema
destra non è un fenomeno che riguarda solo l’Italia, come dimostra la
legge appena approvata in Polonia che punisce chi ricorda la
partecipazione di singoli polacchi alla persecuzione degli ebrei durante
la seconda guerra mondiale. Nel nostro Paese sembra però avere
particolare vigore. Non a caso mentre ricorrono gli ottant’anni dalla
promulgazione delle leggi razziali, ci sono politici che tornano a usare
senza imbarazzo la parola «razza». Attenzione, avverte allora don
Ciotti, perché «quando su riparla di razza bianca la rinascita dei
fascismi è un fatto reale e non folcloristico».
In pochi giorni
più di ventimila persone hanno sottoscritto l’appello delle 23
associazioni, e gli organizzatori sperano che molte altre facciano lo
stesso (si può fare nelle sedi delle organizzazioni promotrici oppure
on-line sulla piattaforma change.org). «Vogliamo dare una risposta umana
a idee disumane», aggiunge la presidente dell’Anpi, Carla Nespolo.
«L’appello esprime una preoccupazione molto forte per i rischi della
nostra democrazia per il risorgere del fascismo, ma anche per
atteggiamenti di nostalgia. Ci sono formazioni come Casapound o Forza
Nuova – prosegue Nespolo – che anche se non portano nel loro nome la
parola fascismo tali sono e vanno perseguite». E la presidente
dell’Arci, Francesca Chiavacci, ricorda come le leggi per farlo ci
siano, ma da sole non bastano. «Non solo con le leggi si sconfigge la
cultura fascista, noi abbiamo un ruolo nel diffondere una cultura
democratica».
La richiesta, allora, è di rispettare quanto
previsto dalla XII Disposizione transitoria della Costituzione che vieta
la ricostituzione, sotto qualsiasi forma, del partito fascista. Per i
promotori dell’appello sarebbe un modo anche per cominciare a fare i
conti con il passato, come invita a fare la Camusso. «Una lunga stagione
di sdoganamenti lascia dietro di sé solo macerie», ricorda la
segretaria della Cgil. «Dobbiamo attrezzare i giovani ad avere memoria,
riempire quel terribile vuoto che ha lasciato la rappresentanza
politica».
L’appello quindi è sempre lo stesso: non dimenticare
quanto accaduto in passato, perché potrebbe riproporsi anche oggi. Un
monito al quale don Ciotti aggiunge una raccomandazione. Quella ad
«alzare la voce quando gli altri scelgono un prudente silenzio».