il manifesto 2.2.18
È di Stato il revisionismo storico polacco
di Moni Ovadia
Il
senato della Polonia ha approvato con larga maggioranza la legge 104
che, qualora firmata dal presidente della repubblica, Andrzej Duda,
punirebbe penalmente, fino a tre anni di carcere chiunque sostenga
complicità polacche nello sterminio nazista o neghi i crimini dei
nazionalisti ucraini di Bandera contro i polacchi.
Il senato della
repubblica polacca è dominato dal partito ultraconservatore Diritto e
Giustizia (Pis) del leader Jaroslaw Kaczynski. La legge è evidentemente
improntata ad una sorta di delirio revisionista storico.
Che da
sempre, ma in particolare dall’89, dal crollo del «socialismo reale» in
avanti si è sviluppato con crescente virulenza nei paesi dell’ex blocco
sovietico orientale, ma non solo.
Ora, al di là della fattispecie
della legge approvata in Polonia sarebbe interessante capire cosa il
fenomeno culturale e politico rappresenti, quali ne siano le
caratteristiche e cosa esso significhi nel contesto di un’Europa unita.
Questo
revisionismo appartiene chiaramente alla sottocultura delle destre
estreme, ultra nazionaliste e fascistoidi e, non di rado
conseguentemente antisemite ma non necessariamente anti-israeliane.
Si
origina nel concetto fondamentale di ontologica innocenza della propria
gente. I colpevoli sono sempre gli altri (in questo caso gli ucraini,
che vengono accusati di essere stati collaborazionisti dei nazisti. E i
polacchi invece no?).
Ne consegue l’ assunto che i nostri morti
sono santi, quelli degli altri no. In Italia, per esempio, questo
sentiment ha preso la nota e frusta forma del «italiani brava gente».
Il
revisionismo revanscista si caratterizza per un furioso anticomunismo
viscerale per il quale chiunque sia di sinistra o supposto tale è come
se fosse Lenin in persona.
Il fascismo, in forma di nostalgia per i
bei tempi andati o per vocazione mai estinta è sempre presente almeno
sottotraccia. Ma appaiono sotto forme e maschere «nuove», come ha
denunciato l’Appello presentato ieri al Museo della Liberazione di Roma.
I
«mai morti» della passione nera riemergono in questa temperie sia per
la crisi sociale profonda che rischia di non trovare risposte a
sinistra, sia perché il processo di defascistizzazione dell’Europa non è
mai stato realmente e autenticamente voluto. In primis anche per
volontà dei governi degli Stati uniti di cui l’Europa occidentale è
sempre stata fedele e servile alleata.
E dopo il crollo del muro
di Berlino anche quella orientale si è più che allineata e ben prima di
entrare nell’Ue, è passata con entusiasmo da neofita sotto l’ombrello
della Nato che irresponsabilmente si allarga sempre più ad Est.
Questa
alleanza militare – si illudeva qualcuno – avrebbe via via perso
funzione con la fine della Guerra fredda, invece si è rinforzata e
attizza nuovi conflitti (Georgia, Ucraina ecc…) perché la guerra fredda è
stata sempre più un pretesto per affermare l’egemonia assoluta di un
unica superpotenza occidental-atlantica.
I paesi dell’Est-Europa
del blocco di Vysegrad, i più entusiasti e partecipi di questo assetto
geopolitico, rappresentano ormai una nuova frattura, tra le tante,
dell’Unione europea, erigendo muri e srotolando nuove matasse di fili
spinati contro la disperazione dei migranti, ma anche contro lo stato di
diritto, sul controllo delle libertà interne, della stampa e perfino
della magistratura.
E l’Unione europea che fa?
Nano
politico, privo di un orizzonte unico nel campo della politica estera,
incapace di difendere i propri principi è stato a guardare mentre morso a
morso, proprio gli ultimi arrivati nell’Unione, sbranavano l’idea
democratica e inclusiva fondativa, e insieme il senso stesso di Europa
Unita: la ripulsa di ogni nazionalismo, che per sua natura cerca nemici
da dare in pasto ai propri sostenitori e così si alimenta dell’odio per
l’altro e per le minoranze interne sempre sospettate di essere quinta
colonna dello straniero.
Ovviamente per dare autorevolezza alla
propria chiamata alle armi la destra nazional-revisionista deve
attaccare anche i propri omologhi ultranazionalisti di altri paesi e
questo spiega l’altro articolo di legge, punitivo dei nostalgici di
Bandera, il filo-nazista ucraino durante la Seconda guerra mondiale.
In tutto ciò la posizione più ambigua e debole mi pare purtroppo quella che viene da Israele.
Basta
ascoltare il premier israeliano Netanyahu, il quale essendo
ultranazionalista, revisionista – è arrivato ad incolpare i palestinesi
per la Shoah – reazionario, razzista e segregazionista (vedi il suo
governo in carica), accusa ora di negazionismo la Polonia, che in realtà
è stata finora ed è la sua migliore alleata, come il suo interlocutore
Kaczynski e come del resto il fraterno sodale ungherese Viktor Orbán.