martedì 27 febbraio 2018

il manifesto 27.2.18
Adamczak, se il comunismo è come una fiaba graffiante
«Il comunismo raccontato a un bambino (e non solo)», di Bini Adamczak edito da Sonda
di Benedetto Vecchi


Un libro agile, scritto in maniera semplice, senza mai essere semplicistico nei suoi contenuti. Femminista queer, l’autrice è Bini Adamczak, militante di base di un gruppo francofortese Sinistra! ha mandato alle stampe un volumetto dal titolo Il comunismo raccontato a un bambino (e non solo) (Sonda edizioni, pp. 126, euro 15). Non poteva certo immaginare, in anni di egemonia neoliberista, il successo di vendite e la traduzione del libro da parte della casa editrice universitaria del Mit, il Massachussetts Institute of Technology.
Sullo stile del libro è inutile dilungarsi ulteriormente se non ribadire che è quella «facilità difficile a farsi», che però talvolta non è tale. L’autrice confessa che tra i suoi progetti ci sono due libri dello stesso tipo. Sono dedicati rispettivamente al 1917 e al ’68, due eventi fondamentali del Novecento letti tuttavia in una prospettiva che Adamczak afferma essere quella di un «comunismo queer», dalle tonalità politiche libertarie e antiautoritarie.
Questo «comunismo raccontato a un bambino» è diviso in due parti: la prima è dedicata all’illustrazione di cosa sia il capitalismo e tocca i punti centrali della critica dell’economia politica marxiana all’interno di una griglia storica che potremmo definire di lunga durata. A muovere Bini Adamczak – anche autrice dei disegni che scandiscono la fine e l’inizio dei capitoli del volume – è la convinzione che il capitalismo non si fondi su una superiorità rispetto ad altre forme economiche che organizzano e garantiscono il benessere di uomini e donne, ma su una appropriazione da parte di alcuni della ricchezza prodotta dalla maggioranza della popolazione. Fin qui, niente di trascendentale. È lo stesso sentiero già battuto da Leo Huberman nel suo fortunato Storia popolare del mondo moderno, cioè una pedagogia della liberazione che non rinuncia mai all’aspetto ludico presente in un processo di apprendimento dove la gerarchia e la divisione sociale del lavoro tra docente e alunno/a viene modulata secondo un principio di attivazione della dimensione critica da parte dell’alunno/a.
Dunque, nulla a che vedere con i tanti compendi delle opere di Karl Marx che hanno scandito la diffusione dei suoi testi, quasi che l’acquisizione degli strumenti della critica dell’economia politica avessero bisogno di una riduzione in pillole. Sarà forse questo aspetto «pedagogico» che deve aver portato il Mit a pubblicare il volume, dato che uno degli elementi che caratterizzato l’ateneo statunitense è proprio la sollecitudine a manifestare punti di vista critici da parte degli studenti.
La seconda parte del libro di Adamczak è più ambiziosa. È rivolto al «che fare?». Non tace, l’autrice, il fatto che ci sono stati molti e diversificati tentativi per costruire il comunismo, portando a modelli di società eterogenei e quasi sempre poco desiderabili. Un nodo che l’autrice si dichiara incapace di sciogliere. Ma i fallimenti non possono chiudere, tuttavia, il desiderio di libertà e di liberazione che muovono uomini e donne. Forse saranno quei bambini, ma anche adulti che, letto il libro, cominceranno a immaginare un altro mondo da quello attuale.
In fondo, il principio speranza che è dietro ogni utopia concreta non è una cosa da lasciare a chi detiene il potere.