il manifesto 24.2.18
L’antifascismo non è un’arma di propaganda
di Marco Revelli
L’Italia
antifascista va in piazza oggi in un clima pesante. «Clima di
violenza», recitano i media mainstream, falsando ancora una volta lo
scenario, come se si trattasse di violenza simmetrica. Di opposte
minoranze estremiste, ugualmente intolleranti, quando invece la violenza
a cui si è assistito non solo in queste ultime settimane, ma negli
ultimi mesi e negli ultimi anni è una violenza totalmente asimmetrica,
distribuita lungo un rosario di intimidazioni, intrusioni, aggressioni
sempre dalla stessa parte, per opera degli stessi gruppi, con le stesse
divise, gli stessi rituali, gli stessi simboli e tatuaggi: Casa Pound e
Forza nuova con i rispettivi indotti. E sempre col medesimo disegno
politico: occupare parti di territorio fino a ieri off limits per
l’estrema destra.
Periferie metropolitane e piccoli centri, aree
in cui la marginalizzazione e il declassamento sociale hanno creato
disagio e rabbia, con lo scopo “strategico” di diventare referenti
politici di quel disagio e di quella rabbia.
Vicofaro, il 27 di
agosto dello scorso anno. Roma, Tiburtino III, il 6 di settembre. Como,
il 28 novembre. Sono solo le tappe principali di un percorso che culmina
nell’atto estremo di terrorismo razzista a Macerata, il 3 febbraio.
Dall’altra parte un solo episodio, quello di Palermo, che per odioso che
possa essere considerato – ed è atto odioso il pestaggio di una persona
legata, incompatibile con i valori dell’antifascismo quale che ne sia
l’idea dei suoi autori -, non può certo mutare il profilo di un quadro
politico estremamente preoccupante.
Per fortuna, c’è stato il 10 febbraio a Macerata: quei 30.000 che hanno capito da subito qual’era “la cosa giusta”.
E
per fortuna c’è la mobilitazione di oggi, la piazza romana e le tante
piazze italiane. Proprio perché pensiamo che minimizzare la minaccia di
questa destra orribile e spudorata sia un atto suicida per una
democrazia già lesionata. E restiamo convinti che dichiarare il fascismo
“morto e sepolto”, come ha fatto il ministro di polizia Marco Minniti, o
invitare a sdrammatizzare e abbassare i toni per non turbare una
campagna elettorale in salita, sia prova di cinismo e irresponsabilità.
Proprio perché sappiamo che dall’onda nera che attraversa l’Europa non è
immune l’Italia, anzi! Proprio per questi motivi crediamo che ogni
persona in più oggi in piazza sia una vittoria.
Non si tratta qui
di rivendicare primogeniture, o giocare al frusto gioco del
rinfacciamento. L’antifascismo non è un’arma leggera da portarsi nella
battaglia elettorale per contendere qualche decimo di punto. Si tratta
di saper vedere il pericolo che incombe. E quel pericolo è grande,
inquietante, per certi versi inedito. Non stiamo oggi vivendo una
riedizione in sedicesimo dei conflitti degli anni Settanta, quando le
bande nere colpivano duro, al servizio di padroni più o meno occulti, di
servizi deviati e di agenzie internazionali, ma non avevano un seguito
di massa. Il neofascismo di oggi – ma forse sarebbe meglio chiamarlo
neonazismo – intuisce (per ora), annusa e avverte un’opportunità nuova
di un inedito radicamento “popolare”, per così dire. Di poter attingere a
nuovi serbatoi dell’ira.
Dopo il 4 marzo non ci aspetta una
tiepida primavera, piuttosto un gelido inverno fuori stagione. L’Europa
ha già battuto il suo colpo. Nessuna franchigia prolungata. Un
establishment europeo in via di dissoluzione e un’Unione dissestata nei
suoi equilibri si preparano a riservare, a un’Italia attardata da un
debito insostenibile, un trattamento forse non troppo diverso da quello
imposto – nel silenzio di tutti – alla Grecia quasi tre anni or sono.
Con una differenza sostanziale: che al governo là c’era saldamente una
forza esplicitamente di sinistra come Syriza, che ha salvato il
salvabile negli strati più fragili della popolazione, e ha costruito una
solida barriera contro la sfida di Alba dorata (che è arretrata da
allora).
Qui no, ci sarà o un governo debolissimo, o una destra
tanto arrogante quanto divisa: le condizioni per una ulteriore
depressione sociale di grandi dimensioni, che amplierà l’esercito della
rabbia, del rancore e del risentimento. Alle promesse smodate della
campagna elettorale non potrà che seguire la doccia fredda di
un’ulteriore deprivazione, col seguito di senso di abbandono,
tradimento, solitudine, spirito di vendetta da parte di chi avverte di
essere sul versante sbagliato del piano inclinato. L’acqua ideale in cui
si preparano a nuotare gli squali che del rancore e della frustrazione
si alimentano.
Per questo è da considerare prova
d’irresponsabilità grave la decisione del ministero dell’Interno di
ammettere alle elezioni le formazioni esplicitamente ispirate al
fascismo, contrariamente a quanto era accaduto, correttamente, per le
regionali in Sicilia. E assume sempre più rilevanza politica
programmatica la richiesta di una rapida, legittima, messa al bando di
organizzazioni come Forza Nuova e Casa Pound , con la loro sola
presenza, un fattore di disordine e di violenza.