il manifesto 23.2.18
Carceri, la riforma nella tomba. Gentiloni congela Orlando
Governo.
Il Consiglio dei ministri affossa il primo decreto attuativo ad un
passo dal via libera. Avviato l’iter di altri tre decreti da concludersi
dopo il voto. Il Garante Palma: «Deluso»
di Eleonora Martini
ROMA
Tutto rinviato a dopo le elezioni. Il primo dei decreti attuativi della
riforma dell’ordinamento penitenziario voluta dal ministro Andrea
Orlando, quello sulle misure alternative – il più importante dei decreti
legislativi e più incisivo nel contrastare il sovraffollamento
carcerario e la recidiva dei reati – è finito nel calderone delle
promesse mancate del governo bipartisan.
Mancavano solo le
controdeduzioni alle obiezioni sollevate dalle commissioni Giustizia di
Camera e Senato, l’ultimo passo prima dell’approvazione finale prevista
per il 2 marzo, giusto sul filo di lana dopo tante promesse, e invece
ieri il Consiglio dei ministri non se l’è sentita e ha rimandato la
gatta da pelare alla prossima riunione prevista per il 7 marzo.
In
compenso – si fa per dire – ha messo in moto l’iter di altri tre
decreti attuativi della riforma (ordinamento minorile, giustizia
riparativa e lavoro) che fino ad ora non avevano visto la luce, malgrado
un processo di studio durato due anni da parte di oltre 200 esperti
nominati dal Guardasigilli al fine di cambiare volto ad un sistema
concepito oltre 40 anni fa e che è costato all’Italia la condanna dalla
Corte europea dei diritti dell’uomo.
Non a caso il ministro
Orlando ieri non si è fatto vedere in conferenza stampa, malgrado fosse
presente a Palazzo Chigi mentre il premier Paolo Gentiloni dava
brevemente conto (e senza spazio per le domande) del «lavoro in
progress».
Il presidente del Consiglio, evidentemente ottimista
sull’esito del voto, ha spiegato che l’iter dei decreti proseguirà
«nelle prossime settimane e mesi» anche «tenendo conto delle indicazioni
del Parlamento».
Ed è questo il nodo: ufficialmente il primo dlgs
è stato messo in stand by perché occorrerebbe più tempo per ricalibrare
le correzioni apportate all’articolo 4 bis (selezione dei reati esclusi
dai benefici) che proprio non sono piaciute alla commissione Giustizia
del Senato, presieduta dal centrista D’Ascola. Anche se in via Arenula
assicurano che la riforma non sarà svuotata come vorrebbe Ncd.
Eppure
l’ululato delle destre, Lega capofila, ma anche del M5S e di alcuni
sindacati di polizia penitenziaria, come il Sappe che ieri esultava per
lo stop a quello che in certi ambienti viene definito come «l’ennesimo
svuota carceri», evidentemente fa molta paura.
Tanto da indurre il
governo a chiarire che l’obiettivo non è tanto quello di riportare la
pena nel solco del dettato costituzionale e delle norme internazionali
(privazione della libertà, non della dignità, come spiega bene Emma
Bonino), ma quello di «ridurre notevolmente il tasso delle recidive».
Lo
ha precisato ieri Gentiloni: «Se vogliamo rintracciare un filone che
unisce i diversi provvedimenti il filone è esattamente questo: abbiamo
un rischio che questo sistema se non ha delle correzioni utili, in parte
adottate oggi, in parte lo si farà nelle prossime settimane e mesi, non
sia sufficientemente efficace nel ridurre la recidiva. Perché i
comportamenti criminali continuano a generare comportamenti criminali,
invece di favorire il reinserimento nella nostra società».
«Non è
un rischio, è una certezza», ribatte la radicale Rita Bernardini, in
sciopero della fame dal 22 gennaio, insieme a migliaia di detenuti e
centinaia di garanti regionali, magistrati, avvocati e cittadini, per
ottenere il varo definitivo della riforma prima delle elezioni ed
evitare così di buttare a mare soldi, energie, tempo e giustizia.
«Arrogantemente
– insiste la leader del Prntt – ritiene di conoscere già i risultati
elettorali, probabilmente pensa che gli esiti di una legge elettorale
incostituzionale saranno quelli da lui e da Napolitano previsti».
«Parecchio
deluso» si è detto anche il Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma:
«Ci si aspettava la capacità di approvare il provvedimento, che è stato
più volte esaminato dal governo e in sede parlamentare. Ci aspettavamo
una capacità di risposta che è mancata. Mi auguro che nel prossimo
Consiglio dei ministri non vengano sollevate questioni di opportunità
politica e che prevalga invece la volontà di non lasciare al palo la
riforma».