il manifesto 23.2.18
È crisi umanitaria a Gaza stretta nel blocco di Israele ed Egitto
Territori
occupati. Il Cairo ha nuovamente chiuso il valico di Rafah gettando
nella disperazione migliaia di palestinesi che attendevano da settimane
il passaggio del confine. Ieri l'allarme dell'Oms per il sistema
sanitario al collasso
Gaza sopravvive solo grazie agli aiuti umanitari
di Michele Giorgio
«È
stato solo un inganno, gli egiziani dicevano che avrebbero aperto il
transito di Rafah per quattro giorni e invece l’hanno chiuso dopo appena
24 ore». Jamil Hammouda, un giornalista che abbiamo raggiunto
telefonicamente ieri a Gaza, ci ha riferito della disperazione di
migliaia di palestinesi che contavano di poter raggiungere il Cairo.
Persone gravemente ammalate, genitori che non vedono i figli da mesi,
studenti diretti ad università in altri Paesi arabi. Dovranno aspettare
ancora e per quanto non si sa. «E dall’altra parte ad El Arish – ha
ricordato Hammouda – ci sono centinaia di persone che attendono da
settimane di tornare a casa».
Il valico di Rafah, tra Gaza e il
Sinai, è l’unica porta che due milioni di palestinesi hanno sul resto
del mondo arabo. L’altro, quello di Erez a nord è accessibile solo a
quei pochi che, dopo lunghe attese, riescono ad ottenere un permesso
israeliano per superarlo. Il blocco di Gaza, anzi, è più giusto
chiamarlo assedio, da parte di Israele ed Egitto è ferreo. E lo pagano
oltre 2 milioni di civili e non, come affermano Tel Aviv e il Cairo, il
movimento islamico Hamas che dicono di voler colpire. L’Egitto ha
motivato la chiusura di Rafah con la mancanza della necessaria sicurezza
per i palestinesi in viaggio per il Cairo. «In realtà il valico è stato
chiuso non appena sono transitati quei pochi che hanno potuto pagare
tremila dollari (alle autorità egiziane, ndr)», ha spiegato Hammouda
riferendosi alle “tariffe” che garantiscono il passaggio sicuro del
valico.
Congelati gli accordi di riconciliazione tra Hamas e il
partito Fatah del presidente dell’Anp Abu Mazen, Gaza sta precipitando
in una crisi umanitaria devastante. Gli stessi israeliani nei giorni
scorsi hanno lanciato un appello al finanziamento urgente di un loro
piano per Gaza: con il blocco strangolano la Striscia e con le donazioni
vorrebbero far respirare un territorio che hanno contribuito a
trasformare in una enorme prigione. Ben diverso è l’appello che ha
lanciato l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) a favore del
sistema sanitario di Gaza al collasso e su 1.715 palestinesi che stanno
per morire tra cui 113 neonati, 100 pazienti in terapia intensiva e 702
in emodialisi. L’Oms chiede aiuti per 11,2 milioni di dollari necessari a
soddisfare i bisogni di salute per i prossimi tre mesi. E solleva il
velo dell’indifferenza sugli interventi chirurgici rimandati, sulle
culle di terapia intensiva che ospitano talvolta quattro neonati, sui
6.000 operatori sanitari che da mesi ricevono il 40% del loro salario.
«Senza finanziamenti nel 2018 – avverte l’Oms – 14 ospedali e 49
strutture di cure primaria dovranno affrontare una chiusura totale o
parziale, con un impatto su 1,27 milioni di persone». Tre ospedali e 13
cliniche di assistenza primaria hanno già chiuso per la mancanza di
energia elettrica. Scarseggiano i farmaci salvavita. Ad appesantire il
quadro c’è lo stato di emergenza proclamato dai municipi di Gaza. Senza
più fondi le amministrazioni locali sono state costrette a dimezzare i
loro servizi fra cui la nettezza urbana e la gestione del sistema
fognario e a vietare, per il forte inquinamento, i bagni in mare.
L’erogazione dell’acqua nelle case è stata limitata ad un’ora appena al
giorno.
E intanto resta alto il rischio di un nuovo conflitto con
Israele che nei giorni scorsi, in risposta ad un attacco a una sua
pattuglia lungo il confine, ha lanciato ripetuti raid aerei contro
presunte postazioni di Hamas. È stato l’attacco dal cielo più ampio
dalla guerra del 2014. Il generale Yoav Mordechai ha avvertito che
Israele reagirà con forza a nuove manifestazioni di protesta sul
confine. Negli ultimi mesi 15 dimostranti di Gaza sono stati uccisi da
fuoco israeliano. Un altro palestinese, Yassin al Saradih, 33 anni, è
morto ieri due ore dopo essere stato picchiato e arrestato da soldati a
Gerico, in Cisgiordania. Un video mostra i militari che lo colpiscono
con forza mentre è a terra.