il manifesto 22.2.18
Boschi paracadutata spacca il Pd: la minoranza se ne va
Elezioni.
I 14 fuoriusciti annunciano un nuovo gruppo in Comune e guardano a LeU.
L’ex ministra accusata di accordi con la Spv sulla sanità. Che trema: 7
arresti
di Ernesto Milanesi
BOLZANO Affiancata
dal collega di governo Gianclaudio Bressa, sostenuta da Reinhold Messner
(lunedì prossimo in municipio), attesa ospite d’onore sabato
all’assemblea del Bauernbund, la Coldiretti sudtirolese.
Ma la
campagna elettorale di Maria Elena Boschi nel collegio uninominale di
Bolzano è riuscita a far esplodere il Pd locale e l’intesa con la
Südtiroler Volkspartei, essenziale nelle Regionali d’autunno.
Il
seggio a statuto speciale per la sottosegretaria ultra-renziana aveva
inviperito l’ex segretario Svp Siegfried Brugger: «Un errore capitale.
Il sostegno a Bressa al Senato è abbastanza comprensibile perché ha
fatto tanto per l’Alto Adige. Ma Boschi ancora nell’ottobre 2014 aveva
chiesto l’abolizione delle autonomie speciali. È imperdonabile che la
Svp si presti a questo gioco».
Poi ieri in conferenza stampa è
arrivata la ratifica della spaccatura definitiva nel Pd bolzanino: 14
esponenti, cioè l’intera minoranza interna, sono usciti clamorosamente
dal partito. Fra loro esponenti di spicco come Monica Franch, assessore
in municipio, il presidente del consiglio provinciale Roberto Bizzo, il
consigliere comunale Mauro Randi, Miriam Canestrini, membro della
segreteria provinciale Pd, e Luigi Tava, assessore di Ora. Un addio
senza rimpianti, causato proprio dalle «candidature paracadute»: un
diktat anche per il segretario provinciale Alessandro Huber, che alla
fine ha comportato l’esclusione dalle liste di Luisa Gnecchi, deputata
uscente.
Randi annuncia un nuovo gruppo politico in Comune, che
continuerà a sostenere il sindaco-city manager Renzo Caramaschi (in
carica dal 23 maggio 2016). D’altro canto, lancia un implicito invito a
un voto alternativo alle Politiche: «LeU ha candidati locali…».
Durissima
l’assessore Franch: «Il Pd è diventato preposto alla gestione del
potere, un pezzo per volta ha smesso di essere il luogo della
discussione politica, della pianificazione e della ricerca del bene
comune. Lascio il Pd non per smettere di fare politica, se mai per
iniziare davvero a farla».
Così nel B & B di Bolzano
restano solo fedelissimi. I fuoriusciti rimproverano perfino a Bressa di
aver sposato la toponomastica senza bilinguismo, mentre a Boschi
imputano accordi sottobanco con la Svp soprattutto in materia sanitaria.
A
proposito di sanità dolomitica, è appena divampata una tangentopoli con
la Procura di Trento che ha disposto sette arresti (fra cui due tecnici
degli ospedali di Bolzano e Merano) più il divieto di contrattare con
la pubblica amministrazione nei confronti di Tecno Service Srl di Roma
ed Heka Srl con sede a Trapani.
Intanto nell’intero Nord Est la
vigilia elettorale del Pd è infarcita di difficoltà, critiche,
apprensioni. L’ex senatore e sindaco di Padova, Paolo Giaretta, ha
pubblicamente confessato che voterà «turandosi il naso» come fece
Montanelli con la Dc. In Veneto soltanto Nicola Pellicani a Venezia può,
forse, evitare la Caporetto nei collegi uninominali spartiti dal
centrodestra.
E a Trieste l’eterno ritorno di Riccardo Illy si
rivela imbarazzante per il Pd ormai in ginocchio. Candidato al Senato,
si presenta come indipendente senza tessere di partito. Di più:
preannuncia l’eventuale adesione al gruppo misto. Non basta, perché Illy
sull’immigrazione sbandiera una posizione originale quanto interessata,
da imprenditore della politica.
«Il ministro Minniti ha dimezzato
gli sbarchi ma il problema non è risolto – ha detto – L’economia
tedesca è cresciuta più della nostra grazie agli immigrati: abbiamo
bisogno di certe tipologie e dovremmo andare a cercarle, per organizzare
un sistema di prima accoglienza, educarli alla lingua e alla cultura
italiana, formarli e avviarli al lavoro e dare loro case. La vera
emergenza è che se ne vanno, lasciando le imprese senza lavoratori».