Il Fatto 22.2.18
Bolzano, primo “effetto Meb”: mezzo Pd è uscito dal partito
Quattordici esponenti locali se ne vanno in polemica con i candidati “paracadutati”
di Ferruccio Sansa
Meno
dieci alle elezioni. Comincia il conto alla rovescia. Sulla rampa di
lancio il Pd a Bolzano perde 14 pezzi. Sul più bello esplode il caso
Boschi: se ne vanno tra gli altri l’assessora del Comune di Bolzano
Monica Franch, l’assessore di Ora (nel cuore del collegio Boschi) Luigi
Tava. Ancora: il consigliere comunale di Bolzano Mauro Randi e Miriam
Canestrini della segreteria provinciale Pd. Poi un’altra manciata di
amministratori. È l’ala dissidente del partito che fa capo al presidente
del consiglio provinciale di Bolzano, Roberto Bizzo (che, per ora,
rimane nel Pd). La scelta dei candidati ha fatto deflagrare il dissenso.
Due nomi su tutti: Maria Elena Boschi e Gianclaudio Bressa. Candidati
blindati una alla Camera, l’altro al Senato. Lei di Arezzo, lui di
Belluno. “Candidature imposte dall’alto”, secondo i fuoriusciti.
Bizzo
ricostruisce: “Io sono stato processato dal partito quando ero contro
la legge sulla toponomastica che cancellava migliaia di nomi italiani.
La commissione chiamata a decidere aveva due membri di lingua italiana,
tre di lingua tedesca e un ladino, ma eletto con il Südtirol
Volkspartei. La comunità italiana non era tutelata. Abbiamo il 25% degli
abitanti dell’Alto Adige, ma solo il 12% degli assessori (uno su otto) e
l’11,4 dei consiglieri. Stiamo sparendo. Il Pd ha preferito mantenere
una nicchia di potere”. E qui si inserisce la candidatura Boschi-Bressa:
“Soltanto tra Bolzano e Bassa Atesina possono essere eletti gli
italiani dell’Alto Adige. E qui sono stati scelti Bressa – dalla Svp che
ha visto in lui il rappresentante delle sue istanze a Roma – e la
Boschi. Nessun italiano della nostra terra. Fa male a tutti: agli
italiani, ma anche alla Svp perché la convivenza ha bisogno di due
ruote”. L’uscita di Bizzo pare imminente. Randi, invece, ha spiegato
così il suo addio: “Lascio il partito per coerenza. Nonostante l’impegno
del segretario provinciale Alessandro Huber ci siamo trovati due
candidature paracadutate”. Immediata la replica del sottosegretario
Bressa: “Gli argomenti contro di me sono inesistenti. Se la motivazione è
che sono bellunese, rispondo che è dal 2001 che vengo eletto in Alto
Adige e che dal 2005 vi risiedo”. Una difesa che non vale per Boschi.
Huber,
giovane segretario, si sfoga: “Il gruppo Bizzo insegue l’ennesima
scissione che indebolisce tutti”. Ma poi cominciano a volare gli
stracci: “È una manovra scellerata. Si lascino allora tutti gli
incarichi ottenuti con i voti del Pd e si restituiscano i contributi
dovuti al partito e non versati”. Huber si è trovato la candidatura tra
le mani senza esserne il regista. “Lui conta poco. I giochi – racconta
chi conosce le stanze del potere Pd bolzanino – li hanno fatti a Roma. E
qui Bressa e Carlo Costa, dirigente di Autobrennero e vicepresidente
della banca Sparkasse. Vera guida del Pd locale”.
Per chi
voteranno i fuoriusciti? Randi invita a guardare nell’area del
centrosinistra. Ma constata: “Liberi e Uguali è riuscito a trovare
candidati locali, mentre il Pd non ha nessuna espressione del territorio
in lista”. Della spaccatura potrebbero beneficiare LeU e Verdi che qui
si presentano insieme. E già questo era un segno. Ma ci sono anche i
Cinque Stelle: “Le richieste del territorio sono state calpestate e
questo è il risultato: chi di candidatura ferisce, di candidatura
perisce”, si fregano le mani i M5S del collegio di Bolzano Filomena
Nuzzo e Diego Nicolini. Aggiungono: “Boschi non si degna di partecipare
ai dibattiti pubblici con gli altri candidati”.
La vittoria di
Boschi e Bressa pare certa. Ma bisognerà vedere le percentuali. Vincere
male sarebbe una sconfitta. E l’annuncio di una débâcle alle decisive
provinciali di Bolzano dell’autunno. Il Pd rischia di sfaldarsi e di
trascinare con sé la Svp. A vantaggio delle destre identitarie.