il manifesto 22.2.18
Per Assad e Rojava Afrin è la via d’uscita
Siria.
L’intervento di Damasco contro Ankara sembra aprire al riconoscimento
dell’autogestione curda. Con la benedizione russa. Erdogan fa la voce
grossa ma potrebbe approffittarne per ritirarsi salvando la faccia. A
Ghouta est altro giorno di morte, sotto le bombe del governo e i mortai
dei qaedisti
di Michele Giorgio
Non è fluido
solo il quadro militare dopo l’arrivo l’altro giorno di combattenti
filogovernativi siriani delle Ndf a sostegno delle Unità di protezione
del popolo curdo (Ypg) – dal 20 gennaio sotto attacco delle forze armate
turche entrate in territorio siriano –, successivamente arretrati a
Nubl, ad una decina di chilometri a sud-est, dopo i colpi di
avvertimento sparati dall’artiglieria turca.
Anche dal punto di
vista politico troppe cose restano avvolte nel fumo degli interessi
divergenti, e talvolta convergenti, degli attori protagonisti da anni
sulla scena siriana. Nuri Mahmud, portavoce delle Ypg, insiste che i
combattenti filo-Damasco e, in seguito, anche reparti regolari siriani
saranno dispiegati lungo la frontiera tra Siria e Turchia.
«Sono
parole coerenti con la tattica dei curdi che facendo e disfacendo
alleanze tentano di proteggere le loro aspirazioni – spiega al manifesto
l’analista Mouin Rabbani – Se una Siria federale e non la secessione
curda è l’obiettivo del popolo del Rojava, è ovvio che il governo
centrale sarà chiamato a riprendere il controllo delle frontiere. La
richiesta di intervento rivolta a Damasco è legata al presente, per
fermare la Turchia, e alla costruzione delle basi di un negoziato per il
riconoscimento della piena autonomia del Rojava. A maggior ragione dopo
l’abbandono della causa curda da parte degli Stati uniti di Trump».
Quanto
Damasco abbia raccolto l’appello curdo in verità non è chiaro. È
evidente l’interesse del presidente Bashar Assad a contrastare la
Turchia e a ritornare con le sue truppe anche solo in una parte del
territorio che le formazioni curde controllano ormai da anni. Allo
stesso tempo Assad non ha alcuna intenzione di entrare in guerra con la
Turchia.
I media siriani ripetono che i filogovernativi sono
andati ad Afrin per «unirsi alla resistenza contro l’aggressione turca» e
ieri hanno riferito che altri uomini delle Ndf sono entrati nella
provincia unendosi ai 500 combattenti giunti il giorno prima. L’esercito
regolare siriano però non si è mosso. E la Turchia continua a fare la
voce grossa.
Ankara ieri ha annunciato che considererà «obiettivo
legittimo» qualsiasi gruppo in appoggio ai curdi. «Ogni passo preso a
sostegno dell’organizzazione terroristica Ypg significherebbe che (quei
gruppi) sono allo stesso livello delle organizzazioni terroristiche e
ciò li renderebbe obiettivi legittimi», ha avvertito il portavoce del
presidente Erdogan, Kalin.
Kalin ha però aggiunto che Ankara non
ha alcun contatto ufficiale con Damasco, ma che, se necessario,
l’intelligence di Turchia e Siria potrebbero entrare in comunicazione
«diretta o indiretta». Questo è l’obiettivo più immediato di Assad. Il
presidente siriano sa che deve comunicare con il nemico Erdogan se vuole
determinare il futuro della provincia di Idlib, l’ultima importante
porzione di territorio nazionale che resta nelle mani delle milizie
qaediste e dei «ribelli» pagati e armati da Ankara.
A Damasco
sembrano piuttosto ottimisti sulle mosse che la Turchia dovrà fare per
venire fuori dal vicolo cieco in cui si è cacciata. «Ankara è in attesa
di interventi che la portino fuori dalla situazione in cui è entrata
senza calcolare le perdite e le conseguenze delle sue azioni», ha
scritto Mustafa al Miqdad sul quotidiano filogovernativo al Thawra.
Erdogan,
a giudizio di al Miqdad, vuole ritirarsi ma non vuole perdere la
faccia. Proprio l’ingresso delle Ndf ad Afrin potrebbero offrirgli la
soluzione che cercava perché, aggiunge, «confermerebbe la sovranità
nazionale siriana e (il presidente turco) potrebbe affermare di aver
raggiunto l’obiettivo di allontanare i curdi dai confini turchi».
Per
il noto commentatore arabo Abdel Bari Atwan da Afrin uscirà fuori più
di tutto un accordo senza precedenti tra i curdi e il governo siriano,
con la benedizione di Mosca. «La leadership siriana – spiega – ha
trovato ad Afrin un’opportunità per aprire canali di comunicazione con
l’autogestione curda. Non a caso dopo l’annuncio dell’accordo (tra
Damasco e curdi), i russi hanno iniziato a parlare della creazione di
una quinta zona di de-escalation in quella città. Significa che hanno
dato il via libera alle forze siriane dirette a Afrin».
Chiamata
in causa Mosca conferma di essere l’arbitro delle vicende siriane. Senza
però mancare di promuovere l’integrità territoriale siriana. Il
ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ieri ha chiesto a tutte le
parti di avviare un dialogo con il governo di Damasco.
«Abbiamo
più volte affermato che è possibile risolvere i problemi solo attraverso
il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale della
Repubblica araba siriana. Tutti gli attori stranieri senza eccezioni,
specialmente quelli che hanno una presenza militare in Siria, devono
rendersi conto della necessità di un dialogo con il governo siriano», ha
detto Lavrov rivolgendosi alla Turchia.
Allo stesso tempo Lavrov
insiste affinché Damasco consolidi il dialogo con i curdi. La
Federazione democratica del Rojava nei disegni russi deve recidere
subito e per sempre i legami con Washington che, dice Lavrov, «promuove
l’istituzione di governi locali che disobbediscono apertamente a
Damasco». La Turchia ieri sera ha replicato che non intende aprire alcun
dialogo politico con Assad ma le sue opzioni diminuiscono con il
passare dei giorni.
A 300 km di distanza un altro confronto,
sanguinoso, pone di fronte quasi identici protagonisti: a Ghouta est,
sobborgo di Damasco dal 2013 trappola per 400mila civili, lo scontro tra
esercito governativo e opposizioni islamiste, sostenute anche dalla
Turchia, prosegue con il suo carico di violenza brutale.
Ieri le
opposizioni hanno denunciato altri 38 morti in raid aerei governativi,
vittime che farebbero salire a 270 il bilancio da domenica, quando la
controffensiva del governo è ripresa; Damasco, da parte sua, accusa i
qaedisti di aver lanciato 45 missili (1.500 negli ultimi due mesi)
contro quartieri della capitale uccidendo 9 persone e ferendone 45.
Dopo
l’appello del segretario generale dell’Onu Guterres (che ieri ha
chiesto un immediato cessate il fuoco di almeno 30 giorni per permettere
la consegna di aiuti umanitari alla popolazione), la Russia si è
rivolta al Consiglio di Sicurezza Onu perché oggi tenga un meeting
d’urgenza su Ghouta est. Ieri nessuna notizia è giunta sul presunto
negoziato in corso per l’evacuazione dei miliziani qaedisti dal
sobborgo.