il manifesto 22.2.18
Chi soffia sul fuoco della paura
di Norma Rangeri
L’onda
nera che riporta a galla la violenza xenofoba e fascista può stupire
solo chi non vede l’avvelenamento di una campagna elettorale dominata
dal tema della sicurezza, annaffiata ogni giorno con dosi massicce di
odio contro gli emarginati.
Un diffuso sentimento di paura è la
benzina sparsa a piene mani da una destra che aspira al governo del
paese, che fa immaginare a milioni di italiani, impoveriti e impauriti,
di potergli cambiare la vita ingaggiando una battuta di caccia nazionale
contro altri poveri diseredati ma con un diverso colore della pelle.
Questo
vento di destra che attraversa l’Europa, in Italia è alimentato da
politici di primo piano come Berlusconi, Salvini e Meloni, veri e propri
«imprenditori della paura», secondo la definizione felice e
anticipatrice del sociologo francese Pierre Musso che la coniò ormai
dieci anni fa.
Con l’accoltellamento di un ragazzo a Perugia
mentre affiggeva i manifesti elettorali di Potere al popolo, con la
svastica a Roma sulla lapide di Moro, con l’irruzione di Forza Nuova
negli studi del programma di Giovanni Floris, e con il pestaggio a
Palermo di un dirigente di estrema destra, questa istigazione alla
violenza è passata dalle parole ai fatti. E rapidamente, dall’irruzione,
a novembre, degli skinead di Como nella sede di un’associazione per i
migranti, al fascioleghista di Macerata armato di pistola per il tiro al
bersaglio contro i neri, le organizzazioni di estrema destra chiedono e
ottengono le piazze per i loro comizi, alimentando un clima di alta
tensione.
Le leggi italiane vietano la ricostituzione del partito
fascista, ma questi gruppi sono ben attenti a presentare liste e simboli
evitando di nominare il fascismo, così da essere ammessi alla campagna
elettorale come tutti gli altri. Salvo poi andare nel salotto di Porta a
Porta e rivendicare, come ha fatto Simone Di Stefano, segretario di
Casapound: «Siamo eredi dell’esperienza del fascismo, della Rsi e del
Msi».
E dunque non bisogna contrastarli su loro stesso piano,
cadendo così nella trappola degli «opposti estremismi», cioè replicando
una sceneggiatura che purtroppo abbiamo già vissuto. Presidi e
manifestazioni sono l’antidoto giusto per contrastarne i rigurgiti e
impedirgli di camuffarsi nei panni delle vittime.
Ha ragione Laura
Boldrini quando condanna la brutale aggressione ai danni di un
esponente di Forza Nuova a Palermo, invitando a non usare l’antifascismo
per giustificare azioni violente perché, dice la presidente della
camera, «l’antifascismo è una cultura di pace». Ha ragione il presidente
del senato Grasso quando avverte che «l’odio politico sta divorando il
paese e per evitare il morto non bisogna aspettare oltre».
Bisogna
reagire ai fascisti che rialzano la testa in modo democratico, come a
Macerata, come a Bologna. Occupando le piazze con cortei e
manifestazioni pacifiche. Altro che abbassare i toni, come invita a fare
il Pd. Altro che invitare i cittadini a chiudere negozi e scuole per
starsene a casa, come ha fatto il sindaco di Macerata, provocando
l’annullamento di una presenza forte già organizzata da Anpi, sindacati e
forze di sinistra. Quelle stesse organizzazioni che sabato saranno in
piazza a Roma, questa volta anche con il Pd che ora cerca di cavalcare
stantii richiami all’ordine pensando di lucrarne qualche voto.
Renzi
porta in tourné il ministro dell’interno come l’uomo forte contro gli
immigrati, nel tentativo di incassare qualche voto destinato ai leghisti
di Salvini. Ma c’è da dubitare sul successo dell’operazione. Perché è
proprio nelle periferie, nei territori di maggiore disagio che il
partito di Renzi in questi anni ha conosciuto il grande esodo sociale. E
perché tra la brutta copia e l’originale, è sempre l’originale ad avere
la meglio.