il manifesto 20.2.18
Da Hiroshima a oggi, la corsa agli armamenti
«Guerra
Nucleare. Il giorno prima» di Manlio Dinucci, edito da Zambon. È la
storia di una potenza distruttiva tale da cancellare la specie umana e
quasi ogni altra forma di vita dalla faccia della Terra, sconvolgendone
l’intero ecosistema
di Tommaso Di Francesco
La
lancetta dell’«Orologio dell’Apocalisse» – il segnatempo che sul
Bollettino degli Scienziati Atomici statunitensi indica a quanti minuti
siamo dalla mezzanotte della guerra nucleare – è stata spostata da 3 a
mezzanotte nel 2015 a 2 minuti nel 2018. Tale fatto passa però
inosservato o, comunque, non suscita particolari allarmi.
Sembra
di vivere in un film, in particolare in The Day After (1983), in quella
cittadina del Kansas dove la vita scorre tranquilla accanto ai silos dei
missili nucleari, con la gente che il giorno prima ascolta
distrattamente le notizie sul precipitare della situazione
internazionale, finché vede i missili lanciati contro l’Urss e poco dopo
spuntare i funghi atomici delle testate nucleari sovietiche.
Questa
la presentazione (e motivazione) del libro di Manlio Dinucci Guerra
Nucleare. Il giorno prima (Zambon Editore, pp.304, euro 15). Il testo,
molto documentato e allo stesso tempo di agevole lettura, ricostruisce
la storia della corsa agli armamenti nucleari dal 1945 ad oggi, sullo
sfondo dello scenario geopolitico mondiale, contribuendo a colmare il
vuoto di informazione su questo tema di vitale importanza.
UNA
STORIA, quella della Bomba, che potrebbe mettere fine alla Storia: per
la prima volta è stata creata nel mondo una potenza distruttiva tale da
cancellare la specie umana e quasi ogni altra forma di vita dalla faccia
della Terra, sconvolgendone l’intero ecosistema. Dal 1945, l’anno in
cui con il bombardamento atomico Usa di Hiroshima e Nagasaki inizia la
corsa agli armamenti nucleari, al 1991, l’anno in cui la disgregazione
dell’Unione Sovietica segna la fine della guerra fredda, vengono
fabbricate circa 125mila testate nucleari con una potenza complessiva
equivalente a quella di oltre un milione di bombe di Hiroshima. In
stragrande parte dagli Stati uniti e dall’Unione sovietica, il resto da
Francia, Gran Bretagna, Cina, Pakistan, India, Israele e Sudafrica
(l’unico paese che rinuncerà in seguito a tali armi). Più volte si corre
il rischio di una guerra nucleare per errore, mentre i test
nell’atmosfera e le fuoriuscite di radioattività provocano enormi danni
ambientali e sanitari.
Con la fine della guerra fredda, i trattati
vengono sempre più svuotati di reale contenuto fondamentalmente a causa
del tentativo degli Stati uniti di accrescere il loro vantaggio
strategico sulla Russia. E mentre la Nato si espande fin dentro il
territorio dell’ex Urss, e le forze statunitensi e alleate passano di
guerra in guerra presentata ai subalterni governati e teleguidati spesso
come «umanitaria» (Iraq, Jugoslavia, Afghanistan, Libia e altre), la
corsa agli armamenti nucleari, trainata dagli Stati uniti, si sposta
sempre più dal piano quantitativo a quello qualitativo, ossia sul tipo
di piattaforme di lancio (da terra, dal mare, dall’aria e probabilmente
anche dallo spazio esterno) e sulle capacità offensive delle testate
nucleari. Nel frattempo si aggiunge alle potenze nucleari la Corea del
Nord.
SI ARRIVA COSÌ alla fase odierna, resa ulteriormente
pericolosa dalla nuova dottrina nucleare degli Stati uniti. Dalla
strategia della «mutua distruzione assicurata» (il cui acronimo Mad
equivale alla parola inglese «pazzo») – adottata durante la guerra
fredda quando ciascuna delle due superpotenze sapeva che, se avesse
attaccato l’altra con armi nucleari, sarebbe stata a sua volta distrutta
– il Pentagono passa alla strategia del first strike (primo colpo),
cercando di acquisire la capacità di disarmare la Russia con un attacco
di sorpresa. Grazie alle nuove tecnologie – scrive Hans Kristensen della
Federazione degli scienziati americani – la capacità distruttiva dei
missili balistici Usa si è triplicata.
ARMI NUCLEARI, sistemi
spaziali, aerei robotici e cyber-armi vengono sempre più integrati,
insieme ai mezzi di guerra elettronica e allo «scudo anti-missili»,
installato ormai in Polonia e con riarmo atlantico di tutti i Paesi
dell’est, vale a dire dell’ex Patto di Varsavia che si è da tempo
sciolto, nel 1995, mentre la Nato non solo non si estingue ma diventa
sempre più l’unica sede della politica estera dell’inesistente Unione
europea. Come contromisura la Russia sta rimuovendo sempre più i missili
balistici intercontinentali dai silos, vulnerabili da un first strike,
installandoli su lanciatori mobili tenuti costantemente in movimento per
sfuggire ai satelliti militari e a un eventuale attacco missilistico di
sorpresa.
Nel crescente confronto nucleare l’Italia – che sembra
vivere nella «tranquilla» cittadina del Kansas del film Day after – è in
prima fila, avendo sul proprio territorio bombe statunitensi B-61 che,
dal 2020. saranno rimpiazzate dalle ancora più pericolose B61-12.
OCCORRE
BATTERSI in campo aperto perché l’Italia cessi di violare il Trattato
di non-proliferazione, imponendo agli Stati uniti di rimuovere
immediatamente le loro armi nucleari dal nostro territorio nazionale, e
contemporaneamente perché l’Italia, liberandosene, aderisca al Trattato
delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari. Questo è
l’unico modo concreto che abbiamo in Italia per contribuire alla
eliminazione delle armi nucleari dalla faccia della Terra. A proposito:
c’è qualcuno che nei programmi elettorali ha questo all’ordine del
giorno? Sarebbe, tra le poche l’unica promessa accettabile. Finché siamo
in tempo, il giorno prima.