il manifesto 1.2.18
Israele, ispettori a caccia di eritrei e sudanesi
Migrazioni.
Le autorità governative cercano cittadini pronti, in cambio di un
generoso compenso, ad inviduare dove si nascondono gli africani illegali
che il governo vuole cacciare via entro la fine di marzo.
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Critiche internazionali e condanne dei centri per i diritti umani non
fermano il governo Netanyahu deciso ad espellere entro la fine di marzo
circa 35mila eritrei e sudanesi richiedenti asilo, entrati negli anni
passati in Israele. All’inizio di marzo dovrebbero entrare in azione,
così riferiscono i media locali, 70 “ispettori speciali
dell’immigrazione”, civili pagati dall’Autorità per la Popolazione e
l’Immigrazione con 30mila shekel (circa 8mila euro) per due mesi di
lavoro e incaricati di individuare gli stranieri illegali e chi li
aiuta. In sostanza dovranno dare la caccia agli africani clandestini a
Tel Aviv e in altre città e provare a scoprire se qualche cittadino
israeliano li aiuta o offre loro un’occupazione. Altri 40 ispettori,
sempre secondo la stampa, saranno assunti con l’incarico di accertare la
«sincerità» degli africani. «Stiamo cercando di saperne su questa
assurda offerta di lavoro ma le autorità non si sbottonano. Tanti
provvedimenti sono decisi in segreto ed emergono solo quando li vediamo
applicati sul terreno», ci diceva ieri T. A., un’attivista dei diritti
dei richiedenti asilo.
L’assunzione degli ispettori/cacciatori di
africani illegali in Israele arriva poche settimane dopo l’annuncio
della politica scelta dal governo Netanyahu per costringere eritrei e
sudanesi a lasciare il Paese. Gli africani hanno la possibilità di
partire volontariamente e di far ritorno nel loro Paese d’origine oppure
di andare in Ruanda (e, pare, anche in Uganda) con in tasca 3500
dollari, in caso contrario saranno arrestati e incarcerati a tempo
indeterminato. Gran parte degli “alieni”, così sono chiamati in Israele,
sono scappati da Paesi in guerra e per sottrarsi ad abusi, torture e
violenze. Invece per i dirigenti politici israeliani, con in testa il
primo ministro, sono solo degli “infiltrati” alla ricerca di opportunità
economiche e costituiscono una minaccia per il tessuto sociale e
l’identità ebraica di Israele. Dal 2009 solo 10 eritrei e un sudanese
sono stati riconosciuti come rifugiati dalle autorità israeliane. Ad
altri 200 sudanesi del Darfur è stato riconosciuto lo status umanitario.
A
nulla è valso l’appello lanciato a gennaio dall’Alto commissariato
dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) affinché Israele ponga fine alle sue
politiche di ricollocamento forzato di eritrei e sudanesi. L’agenzia
dell’Onu aveva anche denunciato che almeno 80 persone “ricollocate” in
Africa hanno poi tentato di raggiungere la Libia subendo lungo il
tragitto abusi, torture ed estorsioni e hanno rischiato la vita
attraversando il Mediterraneo per raggiungere l’Italia. Coloro che erano
partiti da Israele, ha riferito ancora l’Unhcr, una volta giunti a
destinazione hanno trovato una situazione ben diversa da quella che si
aspettavano, con un’assistenza che raramente è andata oltre un posto
dove dormire per la prima notte. Alcuni hanno riferito che diverse
persone che viaggiavano con loro sono morte nel tragitto verso la Libia,
dove in molti sono stati vittima di estorsioni, detenzione, abusi e
violenze.
Ong, associazioni e attivisti israeliani stanno tentando
di scuotere l’opinione pubblica largamente schierata con la politica
del governo. Ma a ben poco è servito l’appello contro le espulsioni
degli scrittori Amos Oz, David Grossman e A.B. Yehoshua, di esponenti
religiosi e di un gruppo di sopravvissuti alla Shoah che si sono detti
pronti a nascondere i profughi nelle proprie case, pur di sottrarli alla
polizia e al provvedimento di espulsione. Nei giorni scorsi a margine
del vertice economico a Davos, Netanyahu ha incontrato il presidente del
Ruanda Paul Kagame che ha detto di avere una politica di porte aperte
per chi desidera rientrare in Africa ma non ha confermato di aver
sottoscritto un accordo con Israele. Per gli attivisti israeliani invece
l’intesa segreta tra Ruanda e Israele esiste e per questo hanno
intensificato le pressioni su Kagame affinchè cessi di ricevere nel suo
Paese gli eritrei e sudanesi espulsi. Pressioni che non hanno gli
effetti desiderati, a maggior ragione ora che il leader ruandese si fa
forte dello status internazionale che ha conseguito dopo la nomina a
presidente dell’Unione Africana.