il manifesto 17.2.18
Università, dieci anni di tagli e cinquemila ricercatori in meno
Non
è solo una questione di tasse. Il Miur pubblica un rapporto sul
personale universitario: crescono i precari, età media alta, pesanti le
differenze di genere
di Roberto Ciccarelli
La
deliberata volontà di ridurre il già modesto settore dell’istruzione
universitaria italiana lo vedi dai numeri dello stesso ministero.
Sostiene infatti il Miur in un rapporto che il personale docente e non
docente è calato da 4.650 professori e ricercatori (il 7,9%). Nel 2010
erano 58.885 nel 2017 sono 54.235 . A causa del massiccio pensionamento
crescente sono diminuiti di quasi un quinto i professori ordinari (da
15.169 a 12.156) e i ricercatori (da 24.530 a 19.737).
Non sono
stati sostituiti a causa della stretta – allentata qui e lì, ma sempre
in maniera insufficiente – sul nuovo organico a cui è soggetta tutta la
pubblica amministrazione. Nel periodo considerato sono stati registrati
gli effetti devastanti dei tagli, praticati dal governo Berlusconi nel
2008, pari a 1,1 miliardi di euro al fondo ordinario per gli atenei. Più
di otto sono stati tagliati alla scuola. Da allora queste risorse non
sono mai più state rifinanziate, imponendo a un settore decisivo come
quello dell’istruzione e della ricerca, un regime di penuria presentato
come la nuova epoca di «meritocrazia». L’Italia è l’unico paese
dell’area Ocse ad avere privato di risorse scuola e università nel
maggiore momento di crisi. Tutti gli altri hanno fatto la scelta
opposta: riversar sul settore nuove risorse, a cominciare dalla
Germania.
È cambiato il lavoro di ricerca: è sempre più precario.
Consideriamo gli assegni di ricerca rinnovabili sino a 4 anni. Queste
figure apicali del precariato infinito che permette agli atenei di
restare aperti è cresciuto in maniera considerevole. Gli «assegnisti»
sono aumentati da 13.109 nel 2010-11 a 13.946 nel 2016-17 (+6,4%). Il
Miur li considera insieme ai ricercatori – che sono invece
«incardinati», cioè assunti a tempo indeterminato. Non è proprio la
stessa cosa, anzi. Questi ultimi restano, tutti gli altri vengono
espulsi al termine dell’ultimo girone di precariato.
Secondo la
settima indagine dell’Adi, dopo dieci anni di tagli, solo il 9,2% degli
assegnisti di ricerca viene data la possibilità di arrivare a un
contratto«fisso». Una differenza enorme. Assegnisti e ricercatori alla
base della piramide superano ordinari e associati: 28,1% contro 26,2%.
Pesanti le differenze di genere. Le donne sono la maggioranza del
personale tecnico-amministrativo (58,5%), 40% tra i docenti e
ricercatori, solo il 21% arriva ai vertici. Il primo decennio della
crisi lascia un’università esaurita, stanca e rassegnata: l’età media
del personale è altissima: 52 anni, 59 anni i professori ordinari, 35
anni gli assegnisti.