sabato 17 febbraio 2018

il manifesto 17.2.18
Turchia, all’ergastolo lo stato di diritto
Una sentenza atlantica e crudele contro sei giornalisti turchi, resa possibile dall'omertà di Europa e Nato che hanno fatto di Erdogan il loro cane da guardia, in Siria come nei campi profughi. Un do ut des che il rilascio del reporter Yucel palesa
di Tommaso Di Francesco


Una sentenza atlantica e crudele quella del tribunale di Istanbul che ieri ha condannato all’ergastolo aggravato sei giornalisti e accademici turchi, tra cui i fratelli Ahmet e Mehmet Altan e la reporter veterana Nazli Ilicak, accusati di aver tentato di «rimuovere l’ordine costituzionale» (parliamo del fallito golpe militare del luglio 2016), sostenendo la presunta rete golpista di Fethullah Gulen. Accuse insostenibili, si parla di «messaggi subliminali prima del colpo di stato».
Eppure Ahmet Altan, romanziere di valore, sarà – come lui stesso accusa – da oggi l’unico scrittore in galera dell’intera Europa. Sì, atlantica. Non troviamo aggettivi migliori.
Giacché considerare la Turchia del Sultano Erdogan una propaggine lontana e barbara della civiltà europea è pura menzogna. Erdogan è già, a modo nostro e suo, in Europa: è il nostro supermercato delle armi, di quelle italiane in particolare; e rappresenta il baluardo sud della Nato; oltre che essere attualmente, come “posto sicuro”, il campo profughi più grande e più affidabile che ci sia. Dove scarichiamo, con i migranti, la nostra coscienza pagando profumatamente miliardi di euro al governo di Ankara.
Al Sultano la coalizione degli Amici della Siria aveva poi affidato il lavoro di diventare il santuario (in addestramento e retroterra) dello jihadismo in ingresso nella guerra siriana per destabilizzare il Paese ormai ridotto in macerie e sentiero di rifugiati.
Can Dundar direttore del prestigioso quotidiano d’opposizione Cumhuriyet, è stato condannato a 5 anni e 10 mesi di prigione per violazione del segreto di Stato per avere pubblicato lo scoop sul passaggio di armi in Siria con annessi traffici di petrolio tutti diretti all’Isis quando, solo un anno e mezzo, fa governava mezza Siria e mezzo Iraq. Ora è dovuto fuggire in Germania dopo avere subito un attentato alla vita.
Ora poi è un via vai di carri armati turchi in Siria. Il membro della Nato, infatti, con i tank tedeschi Leopard accompagnati in buona armonia dalle milizie legate ad Al-Qaeda e a parte del cosiddetto Esercito Libero Siriano, sta massacrando nel silenzio del mondo i curdi siriani ad Afrin, proprio mentre in Turchia 176 città dell’Anatolia a maggioranza curda sono sotto coprifuoco e il leader dell’Hdp Demirtas è in carcere.
Eppure, dirà qualcuno, la giornata era cominciata bene. Ed è vero. La prima notizia turca di ieri infatti era stata la liberazione di Deniz Yucel, corrispondente di Die Welt, dopo un anno di prigione in attesa del processo per «propaganda del terrorismo». Merkel si è subito congratulata.
Ma nelle ore successive si è capito quale era il dare e avere che Erdogan si giocava: da una parte ha ottenuto proprio ieri il via libero di Trump a cacciare da Afrin in Siria i curdi che ancora la difendono e che ora vengono abbandonati dall’impossibile alleato, gli Stati uniti, che finora sembrava sostenerli; dall’altra la liberazione del giornalista turco-tedesco di Die Welt mirava e mira in verità ad ottenere nello scambio il silenzio-assenso europeo sulla cancellazione di fatto della libertà di stampa in Turchia.
Perché altri giornalisti in carcere rischiano la stessa condanna: secondo il database dello Stockholm Center for Freedom, aggiornato a ieri, in Turchia sono detenuti 208 giornalisti, 33 quelli già condannati e altri 140 i ricercati, su cui pesa un mandato d’arresto.
Siamo nel posto che tutti i governi europei chiamano «sicuro», ma dove lo stato di diritto viene semplicemente fatto a pezzi e i giornalisti e gli scrittori vengono condannati all’ergastolo. Svetta e vince dunque l’arroganza e l’impunità di Erdogan.
Quando sapremo che cosa davvero è accaduto dentro la Nato prima e dopo l’improbabile e a dir poco impreparato “colpo di stato militare” del luglio 2016, partito dalla super-base atlantica di Incirlik, scopriremo probabilmente che l’Unione europea al suo interno – al di là dei lamenti e delle chiacchiere sulla «democrazia in pericolo» che anche adesso si leveranno – ha attivamente seguito quel tentativo, per poi altrettanto attivamente prenderne le distanze una volta sconfitto. In fondo è tutto accaduto dentro l’Alleanza atlantica. Che c’è e destabilizza allegramente a Est e a Sud. Mentre l’Unione europea resta sempre più un angoscioso punto interrogativo.