il manifesto 16.2.18
Walter Benjamin, l’intensità dell’attimo e il tempo discontinuo
«Attraverso la piccola porta», un saggio di Massimiliano Tomba pubblicato per Mimesis
di Mario Pezzella
Si
intitola Attraverso la piccola porta (Mimesis, pp. 114, euro 14) il
volume che Massimiliano Tomba dedica a Walter Benjamin, presenza
cruciale nella filosofia del ’900; il pensiero del filosofo berlinese è
l’unica vera alternativa a Heidegger. Partendo da questa chiara
posizione, Tomba rilegge i temi decisivi di Benjamin, primo fra tutti
l’opposizione fra giustizia e diritto, a partire dal saggio Per la
critica della violenza. Nonostante la neutralità che esibisce nelle
democrazie rappresentative, il diritto non cancella, ma codifica la
violenza fondatrice dello Stato e i rapporti di potere che ne
conseguono.
L’uguaglianza statuita dal diritto è solo formale, è
una riduzione passiva delle insorgenze egualitarie; riconosciuta come
principio, essa non è realizzata. È il caso del lavoro salariato:
oggetto di un contratto i cui contraenti sono uguali in astratto e in
realtà divisi da un rapporto di sfruttamento.
CONNESSA ALLA
CRITICA del diritto è quella alla democrazia parlamentare, in cui il
rappresentante agisce in nome di un Popolo-Uno, che è invece diviso in
classi e interessi in conflitto ed è un fantasma prodotto dalla
rappresentanza stessa, con cui essa cerca di legittimarsi. In effetti la
delega si autonomizza, non è più controllata e agisce in nome di una
fittizia universalità: «Il popolo, come unità e totalità, è l’assente
che viene reso visibile come soggetto politico attraverso il
rappresentante che agisce in suo nome». In questo contesto, la violenza
della polizia è sempre latente e pronta a emergere, a intervenire in
stato di emergenza, al di fuori dei codici stabiliti, con diritto
sovrano di vita e di morte. Benjamin pensava agli spartakisti e alla
morte di Rosa Luxembourg. La democrazia cela il germe di un regime
autoritario, senza che ci sia tra di essi un salto di continuità.
UNO
DEI PREGI MAGGIORI del libro è di applicare a Benjamin il suo proprio
metodo, creando un corto circuito dialettico tra il testo analizzato e
il nostro presente. Così avviene per i termini di violenza mitica e
violenza divina. La prima è il «contesto colpevole» in cui il potere
chiude la vita: e si riattualizza nella condizione dei migranti oggi,
posti di fronte a confini e muri, superando i quali incorrono nella
colpa e nella morte: «La violenza mitica emerge ogni qualvolta che viene
violato un confine». Tomba attualizza Benjamin alla luce dello stato di
emergenza in cui noi stiamo vivendo, collocandolo nel tempo discontinuo
delle rivolte e delle brecce di libertà degli oppressi.
La
violenza divina si oppone a quella del diritto e dello Stato. La
felicità a cui mira ha un aspetto anarchico e nichilista perché –
afferma Benjamin nel Frammento teologico-politico- produce il
dissolvimento di una legge e di un ordine simbolico divenuti
ingiustificabili. Da qui nasce il sentimento di festa e liberazione che
accompagna gli inizi di una rivoluzione: questa è un arresto del tempo e
non una corsa sfrenata verso il progresso, e solo così spezza il ciclo
della violenza mitica e «il continuum violento del diritto». In tale
dissolvimento di vincoli giuridici ingiusti, si comprende il rilievo
dato da Benjamin allo sciopero generale di Sorel, capace di porre in
sospeso le funzioni statali e le relazioni di sfruttamento salariale,
fino a produrre una crisi implosiva dell’ordine del capitale: «Per chi è
oppresso, felicità può solo essere il passare della presente condizione
subalterna».
In effetti il «vero politico» di Benjamin non si
limita ai possibili presenti in una situazione ma è «colui che sa
indicare l’uscita dalla situazione come possibile». Lo sciopero generale
è una desistenza generalizzata dalla prassi del capitale.
IL VERO
POLITICO apprezza i «differenziali di tempo», la presenza di possibili
non codificati, appartenenti a esperienze «altre» nello spazio e nel
tempo, anche non occidentali, che è possibile riattualizzare nel
multiversum temporale del presente. C’è una «storia invisibile» che
riemerge periodicamente dal suo fondo sotterraneo, e si affida al tempo
discontinuo dell’intensità dell’attimo, in cui ogni frammento di tempo è
la «piccola porta», da cui potrebbe entrare il Messia: «Ogni singola
azione ha il ritmo della natura messianica…Si tratta di agire, in ogni
singolo atto, come se il Messia fosse già arrivato».
Questa
intensità giustifica il sentimento di fratellanza con coloro che nel
passato o nel presente hanno partecipato alla lotta contro il dominio.
«La fratellanza è un simbolo che investe le generazioni passate,
presenti e future». Certo, non abbiamo soluzioni sicure per evitare che
il momento festoso e destituente delle rivoluzioni si irrigidisca in
nuovi ordini statuali oppressivi. Tuttavia il concetto di fratellanza,
che implica ad un tempo il riconoscimento dell’uguaglianza e della
irriducibile differenza dell’altro, può essere una buona unità di misura
nella lotta per la libertà.