La Stampa 16.2.18
“Il capitalismo finanziario ha fatto dimenticare gli ultimi”
L’autore
di Canale Mussolini: “Ha vinto l’egoismo, non il collettivo Gli
imprenditori non hanno più bisogno che gli operai consumino”
di Massimo Vincenzi
Antonio
Pennacchi è un fiume in piena, impossibile contenerlo dentro gli argini
delle domande. Impastato com’è di politica fa giri strani, prende
percorsi alternativi, li miscela con la sua lunga esperienza di
militante e il talento letterario: quando sembra prigioniero del
labirinto ne trae fuori la via d’uscita vincente, il guizzo rivelatore.
Da iscritto al Msi sino alla Cgil, sempre su posizioni ostinate e
contrarie rispetto all’ortodossia, non stupisce per il gusto di farlo,
ma per la necessità quasi fisica di stare sempre e comunque dalla parte
degli ultimi senza etichette e senza idee preconcette. La sua è
un’analisi spietata dell’Italia di oggi, ma con una ventata di ottimismo
che non cessa mai di soffiare.
Le ultime statistiche sono
impietose: descrivono un Paese dove le differenze sociali ed economiche
sono sempre più evidenti. Che sta accadendo?
«Non è un fenomeno
italiano, siamo passati dal capitalismo industriale al capitalismo
finanziario senza prendere le adeguate contromisure e le conseguenze
sono sotto gli occhi di tutti. Gli industriali di un tempo pensavano
anche al benessere dei loro operai, perché li vedevamo come futuri
compratori, ora i padroni se ne fregano allegramente: l’equoguadagno,
l’equoprofitto sono parole finite in soffitta. Il liberismo ha vinto su
tutti i fronti con buona pace di chi è rimasto indietro. Nessuno
schieramento politico si occupa più degli ultimi, dei diseredati».
Come giudica l’Italia oggi?
«Ho
una pessima opinione. Le ingiustizie non mi sono mai piaciute sin da
quando ero bambino. Resto un’idealista, anche se non mitizzo il passato.
Da inguaribile marxiano credo però in un futuro migliore. Tutto è
iniziato quando siamo scesi dagli alberi in Africa e da lì abbiamo
iniziato a migrare e non ci fermeremo. Resto infatti convinto che
abbiamo le forze per rialzarci e riprendere il viaggio».
La tesi prevalente è che, finite le ideologie, manchino ricette per il futuro. Cosa ne pensa?
«Tutte
cazzate, destra e sinistra continuano ad avere la loro identità
precisa: quello che si è perso è la capacità delle ideologie di attrarre
le masse. Il problema di oggi è che la gente è sempre più convinta che
il bene e il male siano divisibili con l’accetta invece noi siamo un
misto di bene e male: bisogna imparare a convivere con questo fattore».
Senza ideologie restano i valori, dunque.
«Esattamente.
La divisione sostanziale è il rapporto dialettico con la società: se si
mette al centro il singolo o se si pone come elemento più importante la
collettività. Quando ero giovane io il collettivo venivo prima di
tutto, adesso vince l’egoismo».
Ha l’impressione che gli intellettuali si schierino meno di un tempo?
«Io
non me lo pongo il problema, gli altri facciano come gli pare. Quello
che è venuto meno è lo schieramento pubblico, i manifesti da firmare
tutti assieme, che spesso rappresentavano una sorta di conformismo
mentale. Io cerco sempre di distinguermi: come direbbe il mio analista
ho un atteggiamento antisociale, creativo e triste. A volte mi sembra
che non valga più la pena impegnarsi, anche se io continuo a fare quel
che posso».
Segue i dibattiti politici?
«No, perché mi
incazzo quando vedo le trasmissioni in tv o le fesserie di Internet dove
è impossibile fare un ragionamento. Pensi al web, lì nessuno si guarda
negli occhi: è impossibile capire chi dice il vero e chi dice il falso.
Bugie, facce impresentabili: non è più la politica nobile che
appassionava me. Una volta c’erano i partiti, le sezioni dove si faceva
notte a dialogare, anche a litigare ma almeno si capiva qualcosa. Adesso
solo slogan, nessun ragionamento complesso: e i problemi più gravi,
come la migrazione e la povertà, vengono cacciati sotto il tappeto.
L’ignoranza è il male assoluto dei nostri tempi».
Come vede il Paese tra cinque anni?
«Io
rimango ottimista. Penso per esempio alle possibilità che ci darà la
conquista spaziale, sembra un discorso marginale ma in quel campo
l’Italia è all’avanguardia. E così sono molti i campi dove siamo avanti
rispetto ad altre nazioni. L’Italia è meglio di chi ci governa. Dobbiamo
credere nel progresso e sperare che la politica assecondi i nostri lati
migliori, non come ha fatto in questi anni durante i quali ha pensato
solo al suo tornaconto».