il manifesto 15.2.18
Nell’oceano degli algoritmi senza reti umane
A proposito di «Cento anni dopo, 1917-2017. Da Lenin a Zuckerberg», di Rita Di Leo edito da Ediesse
di Luciana Castellina
Il
libro già dal titolo – Cento anni dopo, 1917-2017. Da Lenin a
Zuckerberg (Ediesse, pp. 144, euro 12) – è spiazzante, non crediate
dunque di poterlo leggere in autobus. La tesi finale di Rita Di Leo è
tuttavia chiarissima, perciò vale la pena di fare la fatica per vedere
come l’autrice ci è arrivata. In sostanza questa: quanto segna il
passaggio del secolo è il ritorno dell’essere umano da animale politico
ad animale asociale, e così si compie il percorso inverso che era stato
imboccato nel tentativo di far maturare la capacità di convivere con i
propri simili.
GLI SCONFITTI sono i Lenin, i Di Vittorio, i
ministri laburisti laureati a Cambridge, i socialdemocratici tedeschi e
svedesi, chi nel bene e nel male – ognuno a proprio modo – ha cercato di
creare l’uomo politico, consapevole delle proprie responsabilità
collettive. Tutti ormai fantasmi che ora assistono impotenti dalle loro
tombe alla vittoria della teologia della tecnica che è riuscita a
reclutare i loro stessi successori, abbacinati dagli algoritmi.
Il
«balletto Excelsior» (il famoso spettacolo teatrale di fine ’800 che
glorificava le magnifiche sorti del progresso suscitato dalla rampante
borghesia industriale) è tornato sul proscenio. Per festeggiare il fatto
che, sebbene l’idea stessa di una scienza che avrebbe liberato l’uomo
dalla schiavitù si sia rovesciata, non suscita più reazioni.
In
questo anno in cui più che commemorare il cinquantesimo del ’68
quell’insorgenza viene sotterrata questa conclusione è un epitaffio
crudele. Il ’68 è stato importante proprio perché, con anticipazione (e
certamente anche molta approssimazione), aveva intuito che la modernità
nell’orizzonte del capitale avrebbe portato barbarie. «La scienza e la
tecnica non sono neutrali» è stato non a caso uno dei suoi slogan più
significativi. Ma quello era comunque un messaggio ottimista, perché
indicava una via d’uscita: contemporaneamente si riconosceva infatti che
era il capitale quello che chiudeva le porte che scienza e tecnica
aprivano. La lotta al capitalismo poteva dunque rispalancarle. Oggi
invece una simile ipotesi è tramontata, in quanto ormai del tutto
irrealistica.
NON SOLO PERCHÉ nell’89 il capitalismo ha vinto ma è
stato così anche perché il socialismo sovietico era cresciuto dentro il
suo stesso universo, proprio come la sua classe operaia. Il «golem»
scavato nella creta della classe operaia («il golem operaio» archetipo
dell’intera società socialista di cui parla Rita nel suo libro) si
prevedeva che avrebbe dovuto operaizzare tutta la società e che
l’operaio, in quanto operaio, sarebbe stato capace di far funzionare al
meglio politica ed economia. E però le aspettative che erano state
caricate sulle sue spalle sono andate deluse, e così sono stati travolti
tutti coloro che su di lui avevano puntato per i loro progetti,
l’intera sinistra. In primo luogo le sue sirene ( che Rita Di Leo chiama
Platone), vale a dire gli intellettuali. In particolare gli
intellettuali-politici che pretendevano di rappresentarlo.
Quanto è
accaduto nel frattempo è non solo il fallimento del golem-operaio ma la
scomparsa dei soggetti che avrebbero potuto compiere l’impresa a lui
affidata dalle «sirene Platone», perché i Khomeini degli algoritmi hanno
trionfato, hanno chiuso col passato ancora popolato dall’uomo politico,
e la «legittimazione dello stato di natura, la asocialità, sono
diventate le pietre miliari del tempo nuovo che nulla accetta del
vecchio».
Il risultato è dunque aver cancellato ogni progetto di
universo alternativo, ogni teoria e ogni esperimento inteso a superare i
comportamenti negativi, un obiettivo che aveva impegnato secoli.
Esserci riusciti costituisce una vera «rivoluzione» tanto che, in
confronto, l’ottobre e l’89 francese appaiono bazzecole. Il futuro non
interessa più. Per sbagliato che fosse, nell’agire dell’operaismo
stalinista c’era un progetto di società alternativa: al Khomeini degli
algoritmi delle sorti dell’umanità, del futuro, non importa niente.
NON
È ACCADUTO perché è stato ripristinato un comando sull’esercito
sconfitto, ma perché quell’esercito è scomparso. Il prevalere
dell’economia sulla politica ha infatti annullato – dice Rita – la sua
essenza collettiva. E crudissima è la sua descrizione di questo
assassinio: le fabbriche, certo, qualche volta ci sono ancora, ma dentro
non c’è più la classe operaia, ci sono infinite varietà di lavoratori
catalogati (e perciò regolati e pagati) in mille modi diversi, molti
ormai considerati autonomi piccoli imprenditori di sé stessi o
giornalieri di fantomatici appaltatori, sparito il contratto collettivo.
Non servono più come produttori, bensì come consumatori; e per questo
vengono tenuti in vita in qualche modo. Unificati da questa condizione
che li rende tutti omologati, sciti e sunniti, jihadisti e cristiani che
siano: tutti con scarpe Adidas, comprate su Amazon, pagate con Paypal,
più l’un l’altro sconosciuti e connessi nei social, tanto più soli e
disperati. Questa è la disumanizzazione, perché nella solitudine ci si
incista nel proprio buco socio-culturale: nell’oceano degli algoritmi
sono affogate le reti umane che un tempo addestravano l’uomo a
convivere, a prendere in considerazione l’altro da sé, a usarlo come
risorsa critica di sé stesso. Così l’uomo torna allo stato di natura,
cioè alla asocialità, che la politicizzazione aveva combattuto.
E
tutto questo in un contesto in cui il drone diventa l’archetipo del
tempo, secondo una prassi che consegna persino il potere di fare la
guerra a uno scienziato che decide, con i suoi algoritmi, il destino di
esseri umani che non conosce, così come nulla sa dei luoghi lontanissimi
dove essi abitano.
Spariti anche i luoghi fisici dove abita il
potere, e anche quelli dove abitava chi voleva abbatterlo: palazzi
d’inverno e fabbriche. Insomma: la lotta di classe messa in
clandestinità, affondati i becchini del capitale che il sistema stesso
produceva. Cosi come gli intellettuali-politici, ridotti al silenzio, o a
un servizio servile del potere, perché spariti sono coloro che
avrebbero dovuto rappresentare.
LENIN E I TELEFONINI, il golem
operaio e il golem algoritmico, la rivoluzione d’ottobre e la vittoria
del capitalismo: il quadro disegnato da Rita Di Leo è apocalittico ma
denso di verità traumatiche. Il suo scritto si può assumere come un
disperato grido di impotenza; o, invece, come un accorato appello a
ripensare tutto. In grande, come la questione richiede. È una scelta che
dipende da noi.