il manifesto 14.2.18
Processo a porte chiuse per Ahed Tamimi
Territori
palestinesi occupati. Il giudice militare Menachem Lieberman ha
giustificato la decisione con la necessità di proteggere la minore
palestinese, sotto processo per aver schiaffeggiato due soldati. Per la
difesa è solo un modo per non dare risonanza internazionale al caso
di Michele Giorgio
Processo
a porte chiuse per tutelare Ahed Tamimi, ancora minorenne, o per
evitare ulteriori imbarazzi a Israele che sta processando una 17enne che
ha schiaffeggiato due soldati? L’avvocato Gabi Lasky, che assiste la
ragazza palestinese, non ha dubbi. «La corte ha deciso per un processo
in presenza solo degli avvocati e dei familiari per tutelare i propri
interessi», ossia perché il caso avesse la minore risonanza
internazionale possibile, ha spiegato Lasky la decisione presa ieri dal
giudice militare Menachem Lieberman di vietare a reporter e diplomatici
la presenza alla prima udienza del processo a carico di Tamimi. La
17enne fu arrestata lo scorso dicembre in seguito alla diffusione di un
filmato girato dalla madre, Nariman, anche lei sotto processo, in cui
l’adolescente prende a schiaffi e sferra un calcio a due soldati davanti
alla sua abitazione nel villaggio di Nabi Saleh. Immagini virali, che
hanno fatto il giro del mondo, e alle quali gran parte dell’opinione
pubblica e del mondo politico in Israele ha reagito con sdegno e rabbia
chiedendo una punizione esemplare per la ragazza palestinese.
Questo
procedimento in un Paese democratico si sarebbe chiuso con un’ammenda,
considerando anche l’età dell’imputata, e Nariman Tamimi non avrebbe mai
visto il carcere solo per aver postato un video sui social. Non è
azzardato ipotizzare che un civile israeliano per un “reato” simile non
avrebbe trascorso quasi due mesi in prigione. L’hanno denunciato più
volte nelle scorse settimane anche Amnesty International e Human Rights
Watch. Ma Ahed e Nariman Tamimi sono processate da un tribunale delle
forze di occupazione militare, l’occupazione che la ragazza e, in
generale, tutta la sua famiglia denunciano costantemente da anni. Basem
Tamimi, il padre, è stato più volte arrestato e detenuto per la lotta
(pacifica) contro l’occupazione e per la partecipazione alle proteste
contro la costruzione del Muro israeliano a ridosso di Nabi Saleh. Ieri
l’uomo ha lanciato un invito, «Sii forte», alla figlia arrivata in aula
in divisa da carcerata e con le manette ai polsi e alle caviglie.
L’avvocato
Gaby Lasky spiegava ieri che, di norma, i dibattiti processuali che
riguardano i minorenni si svolgono a porte chiuse per proteggere i loro
diritti «mentre in questo caso Ahed stessa ha chiesto con forza che
fosse aperto al pubblico». Lasky ha aggiunto che l’incriminazione
dell’attivista è stata «gonfiata» per scoraggiare altre proteste contro i
militari. Per il quotidiano israeliano Haaretz è stato un colpo di
genio quello del giudice Lieberman, per impedire che Ahed Tamimi potesse
continuare, con la sola esposizione davanti alle telecamere di tv di
mezzo mondo, a denunciare l’occupazione e la sproporzione tra la
condanna al carcere che rischia concretamente e i “reati” che le vengono
contestati». Come ufficiale delle forze di difesa israeliane, ha
scritto Haaretz, il giudice Lieberman ha due doveri: «Deve soddisfare il
desiderio di punizione (di Tamimi) da parte del pubblico israeliano,
furibondo per il fatto che a una palestinese di 16 anni sia stato
permesso di spintonare e schiaffeggiare un militare dell’Idf (le forze
armate israeliane,ndr)…Allo stesso tempo deve fare tutto ciò che è in
suo potere per impedire che la corte diventi un circo mediatico, al
punto da offrire a Tamimi, alla sua famiglia, agli avvocati e agli
attivisti una conveniente opportunità per processare l’occupazione
israeliana».
Che potesse accadere tutto ciò non è mai stato in
dubbio visto che centinaia di giornalisti, diplomatici e operatori delle
Ong per i diritti umani erano pronti a seguire e a dare pieno risalto
alla vicenda. Il processo pubblico a Ahed Tamimi avrebbe anche fatto
emergere il dato di oltre 300 minori palestinesi che sono detenuti in
Israele. Così ieri un’ora dopo l’inizio del procedimento, senza
preavviso, tutti hanno ricevuto l’ordine di lasciare l’aula, tranne la
famiglia. Il colpo di genio del giudice Lieberman comunque non servirà a
molto. I riflettori sull’adolescente palestinese e sua madre restano
ugualmente accesi in tutto il mondo, mai come in questo momento.