il manifesto 14.2.18
Marco Cappato: «La sentenza di oggi è una tappa verso l’eutanasia legale»
Milano.
In attesa del giudizio della Corte d’assise per l’aiuto al suicidio
fornito dal radicale a Dj Fabo. «Se dovessero assolvermi perché il fatto
è avvenuto in Svizzera, sarebbe un precedente pericoloso: solo chi ha i
soldi per andare all’estero potrebbe essere aiutato».
Marco Cappato durante un'udienza del suo processo in Corte d'Assise per l'aiuto al suicidio fornito a Dj Fabo
di Eleonora Martini
«Sono
determinato ad andare avanti. Qualunque sia il responso, sarà comunque
una tappa del percorso». Obiettivo: eutanasia legale. Nella sua Milano,
l’imputato Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni,
attende la sentenza della Corte d’Assise che questa mattina dovrà
decidere se condannarlo per l’aiuto dato a Fabiano Antoniani nel
raggiungere la Svizzera. È lì, infatti, nel Paese elvetico, e non nel
proprio, che il 27 febbraio 2017 il giovane Dj milanese, divenuto
paraplegico e cieco in seguito ad un incidente stradale, ha potuto
ottenere quanto desiderava ormai da tempo, ossia l’eutanasia per mezzo
del cosiddetto suicidio assistito.
Ma i giudici potrebbero anche
decidere di rinviare alla Corte costituzionale l’articolo 580 del cp che
configura il reato di istigazione o aiuto al suicidio (punibile con la
reclusione da 5 a 12 anni), come ha chiesto in subordine l’avvocata
Filomena Gallo (segretaria dell’associazione radicale), a capo del
collegio di difesa, ed hanno chiesto anche le stesse pm, Tiziana
Siciliano e Sara Arduini.
Quando ha deciso di autodenunciarsi per l’aiuto a Dj Fabo, si aspettava un processo? Questo tipo di processo?
Ero
pronto, anche se nel caso di Dominique Velati la procura aveva deciso
di non procedere. Ad ogni modo cercavo una decisione formale dello
Stato: un’archiviazione o un processo, di sicuro non una soluzione
all’italiana, facendo finta di niente.
Un anno fa il biotestamento
sembrava ancora al di là dell’orizzonte possibile e voi parlavate già
di eutanasia legale. Un escamotage per accelerare l’iter della legge?
L’azione
di disobbedienza civile di aiutare pubblicamente le persone che
vogliono andare in Svizzera l’abbiamo decisa due anni fa con Mina Welby
perché la legge di iniziativa popolare per la legalizzazione
dell’eutanasia non era mai stata discussa dal Parlamento. Un’azione che è
stata fondamentale per smuovere le acque, anche se poi il Parlamento
divise il testo e bloccò la parte riguardante l’eutanasia. Ma il nostro
obiettivo rimane quello di riconoscere la libertà di decidere come
morire, sia se questo significhi rinunciare ad una cura o essere
staccati da una macchina, sia se si debba passare attraverso una morte
volontaria.
Quale sentenza si aspetta?
Che sia una condanna o
un’assoluzione, comunque questo processo fa fare un passo avanti in
termini di chiarezza su ciò che si può fare o no. E con un’opinione
pubblica così favorevole al rispetto della libertà individuale com’è
quella italiana, la chiarezza è anche un passo avanti verso buone
regole, verso nuove libertà e nuovi diritti. In caso di condanna dovremo
decidere se ricorrere o meno in Appello, per poi semmai proseguire
sulla strada delle giurisdizioni internazionali. Ma dipenderà dalle
motivazioni della sentenza.
Lei però ha detto, intervenendo
nell’ultima udienza, che preferisce una condanna ad una assoluzione che
definisse irrilevanti le sue azioni. Perché lo ha fatto? Ritiene che sia
la sentenza più plausibile?
La pm ha chiesto la mia assoluzione
con due motivazioni possibili. In un caso, come abbiamo fatto noi, ha
considerato una violazione dei diritti fondamentali di Dj Fabo – o di
una persona nelle sue medesime condizioni – impedirgli di poter morire
nel modo più rapido e con minore sofferenza possibile. E, cosa più
importante e sorprendente, nella sua arringa la pm ha fatto riferimento
alla giustizia internazionale, alla Carta europea dei diritti
fondamentali, che è un livello perfino superiore a quello
costituzionale. È la seconda motivazione proposta dalla pm – cioè che il
fatto non sussiste perché il suicidio è avvenuto in Svizzera – che io
ho rifiutato esplicitamente. Perché quando con Fabo abbiamo deciso di
agire pubblicamente, a quel punto lui poteva farlo solo con chi fosse
stato disponibile ad assumersi tutta la responsabilità dell’aiuto al
suicidio. Un’assoluzione con motivazioni di questo tipo creerebbe un
precedente: solo se hai 12 mila euro per permetterti il suicidio
assistito in Svizzera puoi essere aiutato a farlo. Il problema non è se
si può o no andare in Svizzera, ma se si può o no farlo in Italia.
C’è poi la strada della Corte costituzionale.
La
stessa Corte d’Assise potrebbe dichiarare incostituzionale l’articolo
580 per il caso di Dj Fabo, oppure potrebbe rinviare alla Consulta. E in
questo caso la sentenza di incostituzionalità dell’articolo, applicato a
persone affette da patologie insopportabili e irreversibili, farebbe
giurisprudenza. Ed è quello che noi auspichiamo.
Lei non si è candidato proprio per questo processo. Un modo per proteggere la sua lista +Europa?
No,
non è per questo: so per certo che i miei compagni della lista +Europa
sono fieri di quello che ho fatto. È il viceversa. Proprio perché questa
sentenza potrebbe avere conseguenze storiche sul piano delle libertà
individuali, ho preferito lasciare che i giudici siano quanto più
possibile liberi e scevri da possibili condizionamenti, quando
prenderanno in coscienza la loro decisione, indipendentemente da
eventuali conseguenze politico elettorali sull’imputato.
Eppure nella storia radicale ci sono sempre stati, scientemente scelti, candidati/imputati.
Qui
la differenza è che il reato non ricade esclusivamente su di me, come
una disobbedienza civile sulle droghe, dove la strumentalizzazione
politica – in senso positivo – ricade solo su se stessi, sul proprio
corpo, sulla propria libertà. In questo caso i giudici devono stabilire
se una persona è morta sulla base di un reato gravissimo o sulla base di
un diritto. Ma è solo un giudizio di opportunità, avrei potuto fare la
scelta opposta e candidarmi.