il manifesto 13.2.18
Il ministro della cultura del Venezuela: «Serve una vittoria politica per sistemare la nostra economia»
Venezuela.
Intervista a Ernesto Villegas Poljak, giornalista e oggi ministro della
cultura venzuelano: «Uscire dalla dipendenza petrolifera»
intervista di Paolo Moiola
Quando
ci incontrammo per la prima volta era il 2003. Ernesto Villegas Poljak,
nato a Caracas nel 1970, era già un giornalista molto conosciuto. Dagli
studi della Tv pubblica «Venezolana de Televisión» (VTV) conduceva «En
Confianza», seguitissima trasmissione dedicata soprattutto ai dibattiti e
alle interviste politiche. All’epoca lavorava anche per emittenti radio
e giornali, incluso «El Universal», quotidiano dell’opposizione. Almeno
fino al golpe dell’aprile 2002 contro il presidente Hugo Chávez, evento
che lo convinse a schierarsi con la rivoluzione bolivariana.
Al golpe è dedicato anche il suo libro più noto «Abril, golpe adentro» (Editorial Galac, 2009).
Tra
i suoi lavori più recenti vanno menzionati «Buenos dias, Presidente» e
«Golpe bajo» (Editorial Nosotros Mismos). Il suo esordio ufficiale in
politica risale al 2012 quando Chávez lo nominò ministro della
comunicazione e informazione. Dal novembre del 2017 è ministro della
cultura per il governo di Nicolás Maduro.
Ministro, in Italia, in
Europa e nel mondo occidentale in generale, il Venezuela gode di una
pessima immagine. Come giornalista e come ministro, come spiega questo
fatto?
Rispondo con Malcolm X: “Se non state attenti, i media vi
faranno odiare le persone che vengono oppresse e amare quelle che
opprimono.
Il presidente Maduro non sembra avere né il carisma
personale né la forza intellettuale del presidente Chávez. Però tornerà a
essere candidato nelle elezioni del 22 di aprile. Non sarebbe stato
opportuno puntare su un nome differente?
Chávez è Chávez e Maduro è
Maduro. Se fosse un cattivo candidato, l’imperialismo lo lascerebbe in
pace in modo tale da crollare. In realtà, e al di là della
satanizzazione e degli stili personali, dopo Chávez è l’uomo che ha
portato molte vittorie al fronte della Rivoluzione bolivariana. Manca la
vittoria in campo economico, per ottenere la quale è necessario prima
vincere queste elezioni presidenziali e chiarire ogni dubbio sul potere
politico. Sarà il popolo venezuelano a dire l’ultima parola.
Negli
Stati Uniti, in Europa, ma anche in molti paesi dell’America latina si
descrive l’opposizione venezuelana come democratica e il governo Maduro
come dittatoriale. In Italia, Lilian Tintori e suo marito Leopoldo López
sono quasi degli eroi. Dove sta la verità?
Insisto con Malcom X.
Bruciare le persone vive, incendiare le università o attaccare le
maternità, come ha fatto l’opposizione “democratica” in Venezuela, non
mi sembra una cosa eroica. Ma, certamente, la disinformazione intorno al
mio paese è brutale. Viene imposta una storia unica, in stile
Hollywood, che sacrifica la verità per soddisfare il copione “dei buoni e
dei cattivi”. Il cartello dei media capitalisti esercita il suo potere
per preparare l’opinione pubblica a un “happy end” interventista. Nulla
di felice per il popolo, ma molto per le multinazionali del petrolio e
il capitalismo globale. Chi si ricorda o si preoccupa oggi del popolo
della Libia? Di Haiti, Afghanistan, Iraq? Nessuno.
Qualche
settimana fa la Rai, la televisione pubblica italiana, ha trasmesso un
reportage di un’ora titolato “Venezuela anno zero” (8 gennaio 2018). Si
sono viste schiere di venezuelani ridotti allo stremo. Senza cibo, senza
medicinali, senza cure mediche.
Non posso commentare qualcosa che
non ho visto. Ma non sono sorpreso. Certamente le ferite sofferte dal
popolo venezuelano sono terribili. Sono ferite di guerra. La strategia
economica degli Stati Uniti contro il Venezuela obbedisce apertamente a
una logica di guerra. La gente ha resistito eroicamente.
Eroi
ed eroine non sono quelli che costruiscono media e politici per
catturare l’opinione pubblica. Sono milioni di umili venezuelani che non
hanno ceduto agli effetti di un terribile blocco economico-finanziario e
della persecuzione.
I numeri dicono che oggi in Venezuela c’è
un’inflazione del 2.600-2.700% all’anno (dati 2017). Di chi è la
responsabilità? Del governo o si tratta veramente di una guerra
economica?
Con Obama ci fu una guerra non dichiarata. Hanno
cominciato ad applicare codici non scritti per accerchiare l’economia
venezuelana. Obama ha emesso un ordine esecutivo che ha dichiarato il
Venezuela come una minaccia per gli Stati Uniti. Una cosa assurda per i
più. Oggi Trump ha praticamente dichiarato guerra su tutti i fronti.
Trump ha parlato apertamente di applicare una “opzione militare”. E il
suo segretario del Tesoro ha parlato apertamente di “soffocare”
l’economia venezuelana. Probabilmente in futuro si declassificheranno i
documenti che comproveranno quanto l’attacco alla nostra moneta, il
bolivar, sia stato parte di un copione macabro di fattura statunitense e
con la Colombia come strumento e base operativa. Tutto questo non
significa però che non ci siano cose da correggere, da parte del
Venezuela, nella gestione della propria economia. Proprio per questo
abbiamo bisogno di una vittoria politica che spiani la strada. La
stabilità di un nuovo mandato presidenziale dovrebbe contribuire a una
stabilità economica che noi tutti desideriamo.
Ministro, mi permetta: gli scaffali dei supermercati venezuelani sono troppo spesso vuoti. Come mai?
La
scomparsa e / o l’aumento brutale dei prodotti, come conseguenza
dell’attacco identicamente brutale alla nostra moneta, è parte del
boicottaggio economico contro il Venezuela. I prodotti a prezzi regolati
scompaiono rapidamente e gli altri, a prezzi stratosferici, rimangono
più a lungo sugli scaffali. È necessario ricordare che Chávez, e ora
Maduro, sono stati i presidenti che erano più preoccupati per il cibo
del popolo venezuelano. Chávez ha creato il ministero
dell’Alimentazione, scuole doppio turno bolivariani compresi i pasti
scolastici, le case di alimentazione per i più umili, Mercales,
Mercalitos e Pdvales, tra le altre iniziative, investendo grandi somme
di denaro nel settore alla ricerca della sovranità alimentare. Maduro,
nonostante il calo dei prezzi del petrolio, ha creato il CLAP (Comités
Locales de Abastecimiento y Producción) e la “Grande Missione per il
rifornimento sovrano” per portare il cibo direttamente alle famiglie,
nel tentativo di aggirare i meccanismi della distribuzione privata. Per
ridurre la speculazione, l’accaparramento e il boicottaggio, che sono
economici ma più recentemente politici. I venezuelani vogliono
sconfiggere l’aggressione economica non solo perché i supermercati siano
riforniti, ma perché i diritti e i bisogni della gente siano
soddisfatti. Il primo obiettivo non è sempre accoppiato con il secondo
su un pianeta caratterizzato da disuguaglianza ed esclusione.
Lo
scorso novembre ero a Lima. Per la prima volta, ho incontrato tanti
venezuelani. Lavoravano come taxisti, nei ristoranti o per le strade.
L’attacco
al bolivar è, in ultima istanza, un attacco al salario dei venezuelani.
Emigrare per motivi economici è diventato un’opzione per i compatrioti
che inviano rimesse ai loro parenti in Venezuela, come durante la storia
passara hanno fatto tanti italiani, portoghesi e peruviani, per citare
solo tre nazionalità, quando la crisi economica nei loro paesi d’origine
li spinse a tentare la fortuna fuori dai loro confini. Nonostante i
pregiudizi e le stigmate, i venezuelani sono persone che lavorano, che
si alzano molto prima dei cittadini di altri paesi per studiare e
lavorare. Molte volte hanno due o tre posti di lavoro. Il diritto
all’educazione, ampliato al tempo della Rivoluzione bolivariana, si
traduce in un prezioso capitale umano che – è una certezza – viene usato
dai capitalisti di altri paesi per sfruttare gli immigrati venezuelani.
Pagano meno rispetto ai loro cittadini e i venezuelani accettano
perché, in presenza dell’attacco al bolivar, con le poche valute
straniere che inviano come rimesse dall’estero riescono ad aiutare le
loro famiglie ad attenuare gli effetti della guerra economica. Sono
cicli che vivono le nazioni. Abbiamo milioni di colombiani che vivono in
Venezuela. Ricordo che molti italiani e portoghesi hanno trovato
rifugio qui e hanno cresciuto le loro famiglie guidando un taxi o
lavorando in ristoranti e negozi. Questo non è indegno. Il lavoro
nobilita.
L’economia venezuelana si fonda totalmente sul petrolio.
La compagnia pubblica Petróleos de Venezuela (PDVSA) ha però una
pessima reputazione a causa di inefficienze e corruzione. Risponde al
vero quest’accusa?
La cattiva reputazione ce l’hanno la
maggioranza, per non dire tutte, le imprese transnazionali. La Petróleos
de Venezuela non sfugge a fenomeni corruttivi. Proprio per questo, con
il sostegno del presidente Maduro, una grande campagna anti-corruzione è
stata lanciata dall’ufficio del procuratore generale (Tarek William
Saab, ndr). Qualcosa che non si fece, per inciso, quando era a capo la
ex procuratrice generale (Luisa Ortega Díaz, ndr), presentata dal
cartello dei media capitalisti come un’eroina da telenovela. Accanto,
perdipiù, a Lilian Tintori e Leopoldo López, proprio lei che aveva messo
in galera López, per aver organizzato l’ondata di violenze del 2014.
A parte i problemi di PDVSA, come fare per diversificare un’economia totalmente dipendente dal petrolio?
Per
quanto riguarda la diversificazione dell’economia venezuelana non è
solo una necessità, ma anche un argomento che genera consenso. Penso che
nessuna persona ragionevole in Venezuela pensi di poter continuare a
dipendere esclusivamente dal petrolio.
C’è un campo immenso in
cui i venezuelani possono raggiungere accordi, attraverso il dialogo,
per la costruzione di un modello economico diversificato che però metta
sempre davanti l’essere umano.
Leggendo i media e le statistiche,
parrebbe che il Venezuela sia un paese con alti se non altissimi livelli
di criminalità comune. Com’è la situazione?
A costo di essere
ripetitivo per la terza volta insisto su Malcom X. Prima delle bombe e
dei marines, i primi attacchi ai paesi che stanno nelle mire
imperialiste vengono dal cartello dei media transnazionali. Non vorrei
maltrattare paesi fratelli, ma la Colombia è il più grande fossa comune
della terra e il Messico, invece di essere entrato nel Primo mondo, come
prometteva il trattato di libero scambio con gli Stati Uniti, oggi più
che mai è nelle mani del narcotraffico. Nessuno nega i problemi che
abbiamo in Venezuela in materia di sicurezza dei cittadini, esacerbati
dalle infiltrazioni dalla Colombia e dalla politica di “caotizzazione”
interna promossa dall’opposizione filo-Usa. Ma c’è un paradosso: i piani
e le azioni del governo Maduro per affrontare il crimine sono
condannati dall’opposizione e dai suoi media come violazioni dei diritti
umani. Ora, il modo migliore per dare il giusto peso al fenomeno è di
venire in Venezuela, un paese unico.
La maggioranza dice che la
nuova Assemblea nazionale costituente (Anc) è illegale, un organo
inventato per escludere l’opposizione. Come risponde?
Di che
maggioranza stiamo parlando? L’Asamblea Nacional Constituyente è stata
riconosciuta anche da tre governatori eletti dall’opposizione nelle
elezioni regionali dello scorso 15 ottobre. I tre hanno giurato davanti
all’Anc.
Il Venezuela di Maduro ha buone relazioni con Cuba,
Nicaragua, Bolivia, Russia, Cina ed Iran. Però sono cattive o pessime
con gli Stati Uniti e l’Europa. Che strategie persegue il suo paese nel
campo delle relazioni internazionali?
Il Venezuela vuole relazioni
rispettose con tutti i paesi in un mondo multipolare, senza egemonie.
In primis, scommettiamo sulla pace.
I proprietari dei media
venezuelani sostengono che le leggi sulla televisione e i mezzi di
comunicazione li danneggiano. Come giornalista, come risponde a queste
critiche?
Immagino che si riferisca alla Legge di responsabilità
sociale nei mezzi di comunicazione radiofonici, televisivi e elettronici
(legge del 7 dicembre 2004 che prevede anche la “cadena obligatoria y
gratuita” di messaggi governativi, ndr). Invito le parti interessate a
leggerlo su Internet e confrontarlo con le leggi dei paesi europei in
materia. Se invece intende la Legge contro l’odio (Ley Constitucional
contra el Odio, por la Convivencia Pacífica y la Tolerancia, novembre
2017, ndr), dovrebbe prima rivedere una norma simile recentemente
approvata in Germania (è la legge contro l’hate speech e i post
offensivi sui social network dell’ottobre 2017, ndr). Il cartello dei
media capitalisti vuole sempre decidere cosa è male e cosa è buono e non
necessariamente coerente. La Merkel è raffigurata come un democratico
democraticamente rieletto più volte mentre Evo Morales come un ignorante
dittatore indigeno che vuole perpetuarsi al potere.
La Chiesa
cattolica venezuelana, in primis la sua gerarchia, è da sempre un nemico
giurato del governo bolivariano. A tal punto che nell’aprile del 2002
appoggiò palesemente il golpe contro il presidente Hugo Chávez. Come
spiegare questo suo comportamento?
Il volto arcigno di Papa
Francesco quando ha ricevuto (nel giugno 2017, ndr) la gerarchia
cattolica venezuelana a Roma dice tutto. Accanto a quella cupola
ecclesiastica, un conservatore come Ratzinger sembrerebbe un
marxista-leninista. In generale, con poche eccezioni, i vescovi
venezuelani sono persone molto arretrate, molto di destra.
Uno
di loro, il cardinale Velasco, possa Dio averlo in gloria, firmò l’atto
di nomina dell’uomo d’affari (Pedro Carmona, ndr) che guidò il golpe
contro Chávez nel 2002.
A parte le sue speranze personali, in sua opinione, quale sarà il futuro del Venezuela?
Lottiamo
per un futuro di pace, stabilità, inclusione e giustizia sociale per
tutti i venezuelani, in particolare per i lavoratori. Un futuro con un
Venezuela indipendente e sovrano, con un sistema economico protetto
dagli attacchi esterni e dalla dipendenza.
Teme per la sua vita e per la sicurezza della sua famiglia?
Ogni
giorno ricevo esplicite minacce di morte dagli stessi settori che il
cartello dei media capitalisti mostra come eroi e democratici pacifisti.
Ma a loro non farò il piacere di paralizzarmi o di rinnegare per paura i
miei sogni e ideali. Credo nel potere della parola e della politica nel
suo senso migliore. Voglio che tutte le famiglie, comprese quelle dei
miei avversari e la mia, possano vivere in un paese libero, equo,
diversificato e democratico, senza sfruttati o sfruttatori, senza
distinzioni o esclusioni. La mia personale vendetta, parafrasando Tomas
Borge, sarà che i loro figli e i miei crescano sani e allegri in un
paese in cui gli esseri umani non siano merce.
* Giornalista.
Ultimo saggio: «O Encontro», con Corrado Dalmonego (Paulinas Editora,
São Paulo, Brasil, dic. 2017) su Yanomami e missionari.