Il Fatto 13.2.18
Addio a Galasso, lo storico che dava del voi
di Paolo Isotta
“La
migliore morte è quella che giunge inavvertita”. Lo dice Cesare, il
modello del coraggio. È capitata a Giuseppe Galasso; e la meritava,
perché non era solo il più illustre napoletano vivente, ma un uomo
grande e buono, di straordinaria generosità intellettuale e affettiva.
Il
20 novembre avevamo festeggiato i suoi 88 anni. Il suo allievo
prediletto Luigi Mascilli Migliorini aveva organizzato un convegno nella
biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria con illustri
storici italiani, tedeschi, francesi, spagnoli, perché fossero presenti i
principali ambiti della sua ricerca. L’occasione erano anche la Storia
della storiografia italiana. Un profilo, e Storiografia e storici
europei del Novecento, i suoi ultimi libri. Aveva detto: “Oggi è
possibile festeggiare due volte i quarant’anni, anche i cinquanta,
spesso. Ma ottantotto, si può una volta sola”. E, con l’eloquio
accattivante e la napoletana arguzia che gli erano propri, aveva
ripercorso le tappe della sua ricerca, della sua passione. Nessuno, come
lui, era in grado di palesare la più ardua materia con la semplicità
dei grandi. Poi una cena in riva al mare. Racconti, battute di spirito.
Di fronte al ricordo della pervicace ostilità di Arnaldo Momigliano
verso chi di gran lunga gli era superiore, Santo Mazzarino, “don
Peppino” raccontò che all’inizio degli anni Cinquanta un suo fratello,
manovale, era morto cadendo da un’impalcatura; e Momigliano gli inviò un
assegno di sessantamila lire per la vedova.
Le sue lezioni erano
trascinanti. Non ho l’età per aver ascoltato quelle di Benedetto Croce
ma sono certo che le sue ne derivassero. Con Croce il legame di Galasso è
fortissimo; è facile dire che egli ne fosse il principale erede. La
somma dottrina li apparenta, ma anche la sprezzatura intellettuale e
quella nel rapporto umano; e la passione civile, che si faceva passione
politica. Nella casa di Croce Galasso teneva lezione, oltre che
all’Università di Suor Orsola Benincasa. Si era formato lì, vi aveva
trascorso una vita. Quelle sale, ora Istituto Italiano per gli Studi
Storici, conservano il tratto della dimora ospitale di un grande
borghese.
Non sta a me ricordare sotto il profilo scientifico chi è
stato un onore degli studi della Storia. Galasso ha trattato la grande
Storia e quella minuta, con un gusto per gli epistolari, i documenti
d’archivio, i particolari, che pure sono comuni a “don Benedetto”.
L’amore per Napoli li unisce. Galasso continuava pervicacemente a
lottare per Napoli e per il Meridione: colla forza delle idee, con
l’impegno politico, con la legge per la difesa del suolo e del
territorio: uno dei più alti modelli di legislazione civile, disatteso e
travolto da turpi interessi. Ma vorrei ricordare quanto piacevole egli
fosse nella convivialità. Dava il “Voi”, da napoletano all’antica. Gli
occhi gli brillavano di bontà. Leggendo la bozza del mio libro di
memorie (si era nel 2014) mi inviò una lettera manoscritta, su
inchiostro verde, scusandosi poi per la lunghezza. E mi faceva
osservazioni sulla grafia della lingua napoletana, dandomi alcune
fondamentali correzioni; persino su parole sconce, che pur fanno parte
della vita. Da Hegel e Cavour al delizioso particolare: solo uno spirito
magno può permetterselo.
Che se ne sia andato “di subito” lo so
per certo. Mi rendo conto di fare la figura di quelli che s’affannano a
divulgare la loro intrinsichezza con un illustre scomparso; mi rassegno.
Domenica mattina dice: “Don Paolino, ho ancora qualche strascico
influenzale, vediamoci a cena lunedì 19”. Il dialogo intellettuale non
s’interrompe: restano i suoi libri, i ricordi: durerà per il resto della
vita. Ma quell’amicizia che arricchisce, ecco: lascia un rimpianto
cocente. “La vita è terribile e bellissima”, disse alla celebrazione. È
diminuita di valore, senza di lui.