il manifesto 13.2.18
Trump deplora le colonie ma ne discute l’annessione a Israele
Usa/Israele/Palestina.
Il presidente americano ha definito gli insediamenti coloniali un
ostacolo per la pace ma allo stesso tempo, sostiene Netanyahu, è
impegnato in colloqui per la loro annessione allo Stato ebraico.
di Michele Giorgio
I
palestinesi, sostiene Donald Trump in un’intervista, «non cercano di
fare la pace». Però «non sono sicuro che Israele stia cercando la pace»
aggiunge subito dopo il presidente americano che poi, a proposito degli
insediamenti coloniali israeliani, commenta che «sono qualcosa che
complica moltissimo, hanno sempre complicato la pace. Penso quindi che
Israele debba fare molta attenzione con gli insediamenti». Parole che
non possono passare inosservate perché sono state pronunciate dal capo
dell’Amministrazione Usa che, persino più delle precedenti, ha fatto del
sostegno a Israele e alle sue politiche una delle ragioni del suo
mandato. Senza dimenticare che Trump appena due mesi fa, in violazione
del diritto internazionale, ha riconosciuto unilateralmente Gerusalemme
capitale di Israele. Tuttavia la Casa Bianca mentre da un lato lancia
qualche blando ammonimento al governo israeliano, dall’altro avrebbe
avviato colloqui con Tel Aviv su una possibile annessione a Israele
degli insediamenti, quindi delle ampie porzioni della Cisgiordania
palestinese dove si concentrano le colonie.
«Posso dirvi che è da
un po’ che ne parliamo con gli americani», ha rivelato Netanyahu durante
un incontro del suo partito, il Likud. «Per questa questione – ha
proseguito – sono guidato da due principi.. un coordinamento ottimale
con gli americani, le cui relazioni con noi sono una risorsa strategica
per Israele e gli insediamenti, e che deve essere una iniziativa del
governo e non una privata perchè sarà un passo storico». Netanyahu ha
cercato di placare i malumori nella destra, causati dall’intervento con
cui domenica ha bloccato un progetto di legge volto ad applicare la
sovranità israeliana su tutti gli insediamenti ebraici. Gli Usa non
devono aver gradito il passo fatto dal premier israeliano. Preferiscono
tenere i colloqui nell’ombra, per poi uscire allo scoperto a giochi
fatti come è avvenuto per Gerusalemme. Così ieri un funzionario
governativo israeliano si è affrettato a «precisare» che Netanyahu non
ha presentato alcuna proposta all’Amministrazione Trump la quale, da
parte sua, non ha espresso alcun parere su questo punto.
Ma in
Medio oriente anche le pietre sanno che il riconoscimento Usa di gran
parte delle colonie e l’annessione a Israele di porzioni di Cisgiordania
sono un tema sul tavolo da almeno un anno, da quando i due Paesi hanno
definito le parti dei Territori occupati in cui le costruzioni
israeliane potranno andare avanti senza limiti e quelle che, nella
visione americana, dovrebbero restare ai palestinesi: briciole di terra.
Dell’Amministrazione Trump fanno parte sostenitori aperti della
colonizzazione israeliana, a cominciare da Jarod Kushner, genero del
presidente e inviato speciale in Medio Oriente. Contro questa alleanza
strategica Usa-Israele il presidente palestinese Abu Mazen ha cercato di
attivare, con risultati incerti, la Russia durante l’incontro con Putin
ieri a Mosca.
Sul terreno la situazione resta tesa. Oggi, se non
ci saranno altri rinvii, è previsto l’inizio del processo alla ragazza
palestinese Ahed Tamimi, arrestata e incarcerata circa due mesi fa per
aver schiaffeggiato e dato un calcio a due soldati israeliani davanti
alla sua abitazione a Nabi Saleh. La 17enne deve rispondere di ben 12
capi d’accusa. In sua difesa è scesa di nuovo Amnesty International.
«Rifiutando di rilasciare Ahed Tamimi le autorità israeliane mostrano di
disprezzare il loro obbligo di protezione dei minorenni, sancito dal
diritto internazionale», ha dichiarato Magdalena Mughrabi,
vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa
del Nord. «Ahed Tamimi – ha aggiunto – una ragazza disarmata, non
costituiva alcuna minaccia per i due soldati dotati di armi pesanti e di
protezioni».