sabato 10 febbraio 2018

il manifesto 10.2.18
Un liceo per ragazzi scelti come si deve, senza inutili scarti
Licei e non solo. L’impegno a cancellare alla radice l’assetto della Buona scuola non è solo uno slogan efficace di campagna elettorale ma un obiettivo strategico irrinunciabile a sinistra
di Piero Bevilacqua


«Andare a scuola- diceva don Lorenzo Milani, profeta del nostro tempo- è un privilegio. Ma deve esserlo per tutti, anche per i ragazzi che nessuno vuole. L’abbiamo visto anche noi che con loro la scuola diventa più difficile. Qualche volta viene la tentazione di levarseli di torno. Ma se si perde loro, la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati».
Una volontà che partiva dall’esigenza di restituire dignità a ognuna e ognuno, anche attraverso l’istruzione gratuita e per tutti, attuando il dettato Costituzionale. Rimuovere gli ostacoli per un’effettiva eguaglianza.
Certo qualcuno può pensare che basta, che non è più tempo di andar dietro a ubbìe sessantottine e poi che questo può valere per i primi gradi dell’istruzione, ma poi dopo no, certamente no, quando si va alle scuole che contano.
Ai licei per esempio.
Non sono più casi isolati le presentazioni che alcuni tra i più prestigiosi licei italiani, di Roma, di Milano, di Genova (anche altrove avviene, ma fa meno notizia) fanno delle loro caratteristiche e dei loro percorsi di studio, prima delle iscrizioni per il prossimo anno. In alcune di esse, senza alcun pudore, si tende a precisare che l’assenza di gruppi di ragazzi svantaggiati per etnia o per censo (che poi sarebbero i poveri e gli immigrati) e dei ragazzi disabili permette di accogliere e seguire negli studi, con esiti più favorevoli, tutti gli altri «omogenei» frequentanti. Perché in questo modo si rende la didattica più semplice, come dichiara una dirigente. E si favorisce l’apprendimento.
E lo si dice così, senza troppi giri di parole, in maniera esplicita, impensabile fino a qualche anno fa. Come se si parlasse di un interesse generale. E’ solo per rassicurare i genitori e promettere loro che in quella scuola si insegna e si impara meglio, senza quelle «remore» che ne impediscono la tranquilla navigazione?
Per assicurarsi soprattutto i contributi, ahimè non più solo volontari, delle famiglie che possono pagare, che ormai in assenza di altre entrate sono il principale sostegno delle scuole?
La cosa che però preoccupa e sconvolge è che si sta parlando della scuola pubblica come se si trattasse di un percorso privato da gestire e far funzionare, ma solo per alcuni. Mettendo sotto i piedi o semplicemente ignorando una tradizione democratica della nostra scuola, quel ‘diversi ma eguali’ nella scuola di tutti, che nella giornata di ieri ha difeso anche la Ministra Fedeli.
C’è da chiedersi cosa sia successo in questi ultimi anni. In che modo si siano incrociate la volontà di non ascoltare la voce e la democratica protesta del mondo della scuola rispetto alla legge 107, le ansie manageriali, gli egoismi proprietari di alcune famiglie, la volontà di rottura di quel patto tra cittadini e Stato, per cui ognuno decide per sé, dai vaccini alle mense. E ancora, la sempre più grave mancanza di investimenti. Siamo un Paese che è sotto la media europea nel rapporto investimento in istruzione e prodotto interno lordo. Che è in Italia solo il 4%.
E infine pesa l’assenza, ormai da molti anni, di un dibattito pubblico, non interno alla vita della scuola, su quale sia oggi non solo il sapere che serve, ma il sapere che fa crescere, che ti fa incontrare altre vite, altre culture, altri mondi. Che sappia educare alla convivenza e al rispetto dell’altro da sé. Un sapere che ha bisogno di tempi distesi e soprattutto di confronto continuo.
Di tutto questo non si parla più da tempo. Con la 107 si è pensato di lavarsi le mani rispetto a tanti problemi, inventandosi managerialità e autosufficienza delle singole scuola anche rispetto alla loro sopravvivenza. Dimenticando che oggi serve più scuola per tutte e tutti, gratuita e obbligatoria fino ai 18 anni. E che non possiamo sostituire un governo complessivo del sistema, che esige confronto e condivisione tra scuola e Paese con il governo della singola scuola.
Questa vicenda lancia un forte allarme, perché è il simbolo di una malattia più profonda. Un Paese ogni giorno più gretto, più miserabile, più incarognito, in dissidio profondo con se stesso. Per questo bisogna lanciare un allarme democratico. E fare senza tregua una campagna contro queste miserabili ‘innovazioni’, che rischiano di respingerci verso un orizzonte di illimitata barbarie.
Riflettano su questi dépliant pubblicitari i cantori della «buona scuola».
Dobbiamo anche a quella legge questa nuova torsione elitaria e discriminatoria del confronto tra scuole.