Il Fatto 10.2.18
Ma quale età dell’oro: qui si vendono il Colosseo
Emergenza cultura - Alla sala stampa estera archeologi, studiosi ed ex soprintendenti forniscono i dati del disastro
Ma quale età dell’oro: qui si vendono il Colosseo
di Vittorio Emiliani
Le
“veline”? Per i più giovani sono soltanto delle bellezze che in tv
fanno da porta-notizie. Sotto Mussolini erano le prescrizioni del
Minculpop alla stampa per il “tutto va bene”. Anche ora servono allo
stesso scopo (per chi ci sta). Per esempio nei beni culturali. A leggere
il Corriere della Sera e a sentire la Rai “servizio pubblico” (d’antan)
il Belpaese starebbe vivendo un’età dell’oro. Ma come si può accettare
senza sganasciarsi il dato ministeriale del Pantheon con oltre 8 milioni
di visitatori nel 2017, 22.000 al giorno, una curva e mezza dello
Stadio Olimpico al dì? Giovedì “Emergenza Cultura” alla Stampa Estera ha
smentito, cifre e dati alla mano, “veline” e “velinari”. Introiti
aumentati? Certo rincarando i biglietti, con Venaria Reale che costa più
di Versailles. Più spesa statale? No, meno che nel 2001.
Adriano
La Regina (“La Regina chi?” sembra di sentir dire ai “velinari”), per 27
anni soprintendente all’archeologia di Roma con esiti straordinari, ha
argomentato seccamente: la linea adottata da Franceschini ha attenuato
progressivamente la capacità di intervento e di tutela delle
Soprintendenze. Esse hanno perso autonomia scientifica. Sulla base di
questi principi ispiratori: 1) Una concezione del patrimonio culturale
fondata prevalentemente sulla sua mercificazione, a scapito dei principi
che vedono nell’amministrazione dei beni culturali lo strumento per
favorire l’educazione e l’elevazione culturale; 2) Una interpretazione
riduttiva del turismo di massa, abbandonato senza indirizzi all’arbitrio
dei privati; 3) La concentrazione di ingenti risorse su pochi musei e
complessi monumentali a scapito del più vasto e diffuso patrimonio
culturale, con riflessi negativi sulla sua conservazione; 4) Lo
smembramento della Soprintendenza Archeologica di Roma frazionata in
modo da impedire pure la creazione di nuovi musei (quello dei commerci
al tempo di Roma nell’ex Arsenale Pontificio). Ultima, per ora,
sbrigativa scemenza, il trasferimento della grande Biblioteca di
Archeologia e Storia dell’Arte da Palazzo Venezia (ove la volle
Benedetto Croce) anziché potenziarla dov’è.
Un altro archeologo,
docente a Firenze, Paolo Liverani: a Policoro (Matera) lo splendido
Museo è stato talmente alimentato dagli scavi della Soprintendenza da
venire raddoppiato. E ora? Non più, lo hanno separato dagli scavi. Lo
stesso, ha rincarato Claudio Meloni, della Fp Cgil, a Tarquinia: museo e
necropoli sono gestioni “separate”, “ma con lo stesso personale che va e
viene”, un caos. Migliaia sono i posti vacanti. Come si va avanti? Con
migliaia di contrattini. Di questo passo, nel 2020, gli alti gradi
saranno spariti.
Certo, ha osservato Tomaso Montanari, docente a
Napoli, in Bulgaria o in Lettonia, lo Stato spende per la cultura il 2%
del Pil, la media Ue sta sull’1% e l’Italia era con Bondi-Galan sullo
0,8, ma con Franceschini è scesa allo 0,7. Siamo al 23° posto in Europa.
Ecco perché tanti tesori di Norcia e dintorni, fotografati in queste
ore, sono esposti al sole e alla pioggia. E gli archivi di Stato coi
loro 1500 km di scaffali (Ferruccio Ferruzzi) abbandonati a se stessi? E
la Biblioteca Universitaria di Pisa chiusa da otto anni? Si parla solo
di alcuni musei ridotti a luna-park. Non del paesaggio aggredito, del
consumo di suolo galoppante, degli appena 3 piani paesaggistici su 20 in
un decennio (Paolo Berdini, Elio Garzillo). E intanto in piazza del
Pantheon si addensa ogni giorno una curva e mezzo dell’Olimpico.
Evitiamo almeno il ridicolo.