Il Fatto 7.2.18
Sesso, droga e liceo classico: è il fallimento della Scuola
Cronaca nera in aula. Non è solo questione di sbronze in classe e professori rapaci. È la velocità dei nuovi giovani a sfuggirci
di Vins Gallico
“Un
professore meridionale in combutta con la vicepreside, richiedente
asilo e affiliata all’Isis, convince un’intera classe di liceali ad
assumere Lsd. Gli studenti poi sfilano nudi a quattro zampe per il corso
cittadino”. Potrebbe essere una strampalata notizia di Lercio o il
prossimo scandalo che riguarda la scuola italiana. Almeno ci sarebbe
qualcosa da commentare davvero. Perché le chat fra docenti e alunni, i
casi di coma etilico, di uso di stupefacenti, di violenza, di bullismo
non sono scandali che possono essere propriamente addebitati alla
scuola, nonostante siano fra gli argomenti che rimpolpano i titoli
dell’informazione da mesi. In Italia la scuola viene mentalmente
inserita nella categoria protettiva della famiglia e, per alcuni, della
chiesa.
Famiglia, scuola, chiesa: la trinità pedagogica
dell’igiene, del “liberaci dal male”, della purezza. Se parafrasando
Tolstoj non tutte le famiglie sono felici, a giudicare dai dati spesso
ignorati di femminicidi, abusi, violenze esiste davvero una notevole
quantità di famiglie infelici “a modo loro”. Eppure all’interno del
focolare domestico, come nelle sagrestie e negli oratori, ci si nasconde
dietro un manto di ipocrisia. Visto che i panni sporchi si lavano in
casa, e quindi in maniera omertosa, si fa finta che alcune cose non
succedano nella vita reale. Se proprio capitano, almeno che venga
intaccato l’anello più debole della catena: cioè la scuola. Ma una
quindicenne che va in coma dopo essersi scolata un numero imprecisato di
bottiglie non è un problema della scuola, o almeno non è solo della
scuola. Quella quindicenne lo avrebbe fatto comunque, altrove, alla
prima occasione. Sesso e droga riguardano una buona fetta degli
adolescenti, non solo di oggi. Ignorare che sia così è un gesto da
struzzi, ricorda l’atteggiamento di quelli che dicevano: “La mafia non
esiste”.
Si potrebbe anche considerare quante volte questi
scandali, questi peccati siano inventati, ma non si metterebbe a fuoco
il nucleo del discorso. C’è questa roba qui che è la scuola, e vede due
grandi attori protagonisti: i docenti e gli studenti. Non deve essere
facile fare il professore attualmente: ti pagano uno schifo, con i
coretti che “lavori solo 18 ore a settimana”, “tutta l’estate in
vacanza”, e sei sempre vittima del pregiudizio di essere uno sfigato,
mezzo fallito, perché “chi sa fare fa, chi non sa fare insegna”. Ecco,
mettiamoci pure, che con la trasformazione dei presidi in dirigenti
scolastici, i professori rischiano di diventare dei burattini,
ricattabili dalla famiglie. Vuoi bocciare mio figlio? E io cambio
scuola, vado dove lo promuovono e la tua scuola si svuota.
Il
docente dal polso duro e lo sguardo arcigno, da punizione in ginocchio
sui ceci, si è antropologicamente mutato nel prof amico, al quale dai
del tu nel gruppo di Whatsapp. Che poi esistono davvero docenti
appassionati, che con devozione missionaria sperano di migliorare il
mondo con la scuola. E di questa fazione non fanno parte i maniaci, che
chiedono foto porno alle alunne.
Se ci fosse una buona commistione
di insegnanti che conoscono le loro materie e qualche epigono del prof.
Keating stile L’attimo fuggente, saremmo già a cavallo. E poi c’è
l’altra faccia della medaglia: gli studenti, ovvero la componente
maggioritaria della scuola. Nella fascia delle superiori si tratta di
ragazzi che vivono la stagione dell’adolescenza, una bolla a sé stante
rispetto agli altri cicli della vita. Sono considerati i nuovi barbari,
spesso criticati, a volte critici. Si sentono ripetere: “Siete il
futuro” e poi quel futuro gli viene proposto in forma ridotta,
impoverita, devastata. Fra i 14 e 19 anni vivono l’esperienza della
formazione e della deformazione. A quell’età tutto appare come una
burrasca o una bonaccia di noia.
Sono ragazzi, fisicamente
sviluppati, dai modi adulti, capaci di violenze atroci, inaudite,
irresponsabili, assediati da un mondo vetusto. Ascoltano Trap (che non
vuol dire Trapattoni), seguono gli youtuber, stanno sempre incollati
agli smartphone. Altro che approfondimenti come vorrebbe la vecchia
scuola, loro surfano, navigano, si muovono a velocità siderali. Non
vanno giù, vanno più in là. Non scrutano l’abisso, ma si proiettano
oltre l’orizzonte. Gestiscono con disinvoltura la rete dei social, dove
gli adulti si muovono con imbarazzante asincrono.
La scuola
istituzione, la scuola dall’alto, prova ad adeguarsi con metodi risibili
alla loro contemporaneità. Si abolisce il tema di letteratura in terza
media, e giù con critiche trombone. Dove andremo senza letteratura? La
domanda legittima sarebbe inversa: dove finiremo con la letteratura, che
è uno spazio mentale e psicologico che valica spesso i confini di bene e
male? Il punto è a cosa serve la scuola: a formare uomini o cittadini,
menti libere o sudditi fedeli? Perché Dostoevskij ti porta nella mente
di un gerontocida e Nabokov in quella di un pedofilo, Goethe, Dante,
Bulgakov ti conducono all’inferno o a fare patti con il diavolo. La
letteratura è fatta anche di sesso e di droga. Forse basterebbe un po’
di buon senso, anzi di senso della responsabilità, e che questi due
poli, docenti e studenti, abitassero la scuola facendo muro contro
l’idiozia. Carlo Cipolla sosteneva che non i banditi, ma gli stupidi
fossero il vero rischio della società. Ecco, basterebbe quello.
Dichiarare che la stupidità è il vero nemico della scuola italiana e che
lo scandalo è non opporsi ai suoi attacchi, dentro e fuori ogni
istituto.