Corriere 7.2.18
Risponde Aldo Cazzullo
Quando il sessantotto finì nelle ideologie
di Filiberto Piccini,
Caro Aldo,
già cominciano le rievocazioni. Ma ha ancora senso processare il ‘68?
Caro Filiberto,
La
discussione sul ‘68 l’hanno sempre fatta i sessantottini: spesso
celebrandosi, talora abiurando. Avrebbero diritto di parola anche le
generazioni precedenti e successive. In Italia com’è noto il ‘68 è
durato dieci anni, sino al caso Moro. I miei ricordi di bambino sono
scanditi dagli scontri di piazza e dagli omicidi di terroristi rossi e
neri. Certo la rivolta non è stata solo questo; ma negare che ci sia un
nesso tra il ‘68 e gli anni di piombo mi pare arduo. Più tardi ho
cercato, intervistando centinaia di protagonisti, in fabbrica e in
questura, ai vertici Fininvest e in galera, di trovare un senso a quel
che era accaduto. Mi sono fatto questa idea.
A un’esplosione
libertaria, che ha portato a un sano cambiamento dei costumi, dei
rapporti tra le persone, del ruolo della donna, è seguito un
irrigidimento dogmatico in una parte non trascurabile del movimento. Lo
slancio dei giovani finì ingabbiato nelle due ideologie del Novecento,
il comunismo e il fascismo, destinate a estinguersi da lì a pochi anni. I
giovani di sinistra consideravano il Pci compromesso con la democrazia
borghese, e si proponevano di proseguire il compito cui Togliatti e
Berlinguer avevano rinunciato: la rivoluzione, come in Cina più che come
in Russia. Qualche ex di Lotta continua ha il vezzo di dire di non
essere mai stato comunista. Farebbe meglio a dire di essere sempre stato
contro il Pci; ma i militanti di Lotta continua erano convinti di
essere loro i veri comunisti. Qualcosa del genere, su scala più ridotta,
accadde a destra nei confronti del Msi di Almirante, considerato
filoatlantico, filoisraeliano, mercatista. Il risultato fu una mimesi
della guerra civile, che lasciò sul terreno troppo odio e troppi morti.
Di quella generazione salvo una cosa: l’idea, coltivata da molti, che si
potesse essere felici soltanto tutti assieme, affidando la vita alla
politica. La sconfitta è stata dura: qualcuno è finito nel terrorismo,
qualcuno nella droga, qualcuno è rimasto in fabbrica negli anni della
restaurazione. La generazione successiva, quella del riflusso (che è poi
la mia), ha creduto che si potesse essere felici soltanto ognuno per
proprio conto; e anche noi siamo andati incontro alla disillusione, con
questo senso di solitudine esistenziale che ci portiamo dentro.