Il Fatto 2.2.18
“I volenterosi carnefici fai-da-te non attesero gli ordini dei nazisti”
di Stefano Citati
Per
non provocare i tedeschi, gli assassini non usavano armi da fuoco, ma
oggetti a portata di mano: pali, bastoni chiodati, baionette, accette o
seghe per il legname. A Wasosz utilizzano i pesi della stazione
ferroviaria per spaccare le teste. La bestialità delle uccisioni deriva
dalla natura stessa degli strumenti di omicidio delle tante vittime. Si
arriva agli annegamenti in laghi e canali di drenaggio. Gli assassini
affermano anche che se gli ebrei sono uccisi per strada, i loro corpi
giacciono, marciscono e devono essere rimossi, perché potrebbe scoppiare
un’epidemia. A Radziłów, l’infermiere M. ordina di ricoprire i cadaveri
di ebrei con la calce viva per prevenire il diffondersi di malattie.
Fuori città si uccide nei fossati anticarro, nelle trincee, nelle
foreste. A Radziłów, i locali usano una ghiacciaia – un ‘frigorifero’
pre-bellico, una fossa profonda nel terreno – dove trasportavano e
uccidevano ebrei che non erano stati in grado di bruciare prima nella
stalla. I bambini ebrei catturati venivano uccisi sull’orlo della
ghiacciaia; uno dei poliziotti usò anche un’arma da fuoco, sparando su
dieci bambini messi in fila, per risparmiare i proiettili. Una parte era
solo ferita, quindi venivano sepolti vivi. Il metodo più efficace per
uccidere in modo massiccio, tuttavia, era il fuoco, si ammassava gli
ebrei nei fienili e si dava fuoco”.
Questo e molto altro è
riportato in un libro polacco, pubblicato nel 2015: Le città della morte
– Pogrom degli ebrei fatti dai vicini di casa e racconta crimini
commessi in parte nel periodo tra la ritirata dei sovietici dalla
Polonia e l’arrivo dei nazisti. L’autore, Mirosław Tryczyk, ha raccolto
documenti ufficiali depositati nei tribunali alla fine della Seconda
guerra mondiale, quando cause furono intentate per i crimini legati allo
sterminio degli ebrei (dei 6 milioni di ebrei che è stato calcolato
furono trucidati nei campi di sterminio del III Reich, 3 milioni
vivevano in Polonia, ndr). Katarzyna Zmijska, che sta traducendo il
libro in italiano, spiega come nell’attuale clima di “catto-fascismo”
che incombe sulla Polonia, questa memoria sia divenuta sempre più
difficile da conservare.