Il Fatto 27.2.18
Apple, il morso alla mela l’ha dato l’imperatore Xi
Il presidente Xi Jinping, uscito più potente che mai dal congresso del partito comunista
di Giampiero Gramaglia
Non
è proprio la resa del Bene al Male, e tanto meno la vittoria di San
Giorgio sul Drago: non è né un apologo né un’allegoria. È una storia
d’affari e di realismo, un calcolo d’interesse tra il meno – il dare i
dati – e il più – restare nel mercato cinese. L’Apple è un gigante
dell’informatica ed è pure un’icona della libertà d’informarsi e di
comunicare, ma il miliardo e 300 milioni di potenziali clienti cinesi
sono una potente calamita.
Così, l’azienda che fu fondata da Steve
Jobs accetta di consegnare alla Cina, entro fine mese, i dati degli
utenti cinesi che usano il servizio iCloud, la ‘nuvola’ su cui
conservare file, foto, sms, email. Significa sicuramente compromettere
la privacy degli utenti nei confronti delle autorità cinesi.
Ma
c’è la necessità di adeguarsi alle leggi sulla cybersicurezza cinesi:
prevedono che i dati siano memorizzati su server fisicamente localizzati
nella Repubblica popolare cinese, e non più – come finora avvenuto – su
server statunitensi. È probabilmente un caso che la decisione della
Apple coincida con l’annuncio, da parte della Cina, di una riforma della
Costituzione che cancella il limite di due mandati presidenziali
quinquennali e consecutivi: Xi Jinping, l’attuale presidente, uscito più
potente che mai dal congresso del Partito a novembre, non dovrà,
quindi, farsi da parte alla fine del suo secondo mandato, che sta per
iniziare. La conferma di Xi a marzo da parte del Comitato del Popolo, il
Parlamento cinese, è una formalità. Può anche darsi che Xi stia
esercitando una positiva influenza sulla Corea del Nord, come dice ora
il presidente Trump, che fino a poco tempo fa gli rimproverava di tenere
bordone a Pyongyang – adesso, lo farebbe Mosca -. Di certo, Xi prende a
prestito dai Kim la nozione di ‘presidente eterno’, cara alla dinastia
dittatoriale comunista nord-coreana.
Al mondo degli affari, la
novità non sembra dispiacere: alle borse di Shanghai e di Shenzhen, i
titoli delle società con nomi legati ai termini ‘imperatore’ o ‘re’
fanno un balzo in avanti, adesso che Xi più che un presidente appare,
appunto, un ‘imperatore’, nella tradizione cinese. Vanno forte aziende
d’ogni genere, elettroniche, meccaniche, agro-alimentari, di servizi di
pulizia, purché nel nome ci sia un riferimento imperiale o reale.
Certo,
gli operatori cinesi hanno un’inclinazione allo scaramantico superiore a
quelli occidentali e, quindi, la mossa è più cabala che calcolo. Ma,
giaculatorie a parte, la Cina si sta attrezzando per essere
protagonista, a suo modo, sulle scene politica ed economica del XXI
Secolo.
A marzo, il Comitato del Popolo avallerà numerose riforme
della Costituzione: oltre a iscrivere, come già deciso, nella Carta
Suprema il pensiero del presidente “sul socialismo con caratteristiche
cinesi per una nuova era”, v’inserirà la visione della “costruzione per
l’umanità di una comunità con un futuro condiviso”, altra teoria cara a
Xi. Le novità – assicura l’agenzia Nuova Cina – rafforzeranno “i valori
centrali del socialismo”, ma in primo luogo il ruolo del Partito (“la
leadership del Pcc definisce la peculiarità del socialismo con
caratteristiche cinesi”) e quello di Xi.
Pechino invia emissari
economici negli Stati Uniti, diventa ago della bilancia nella crisi
coreana e si dota d’una stabilità politica interna che è musica alle
orecchie degli investitori internazionali. Ansie e timori di attivisti e
associazioni per i diritti umani in questo contesto non ‘fanno il
peso’: prevedendo la mossa delle Apple, Reporters sans frontières aveva
invitato due settimane or sono blogger e giornalisti in Cina a non usare
iCloud per non essere individuati dal governo. Qualche giorno fa, la
Apple ha inviato notifiche agli utenti cinesi per avvisarli del
cambiamento, cui – spiegava – aveva cercato di opporsi, senza successo. I
dati cinesi finiranno sui server della Cloud Big Data Industry, società
creata a Guizhou nel 2014, con stretti legami con il governo e il Pcc.
Pechino
ha un record impressionante di repressione, restrizioni, violazioni dei
diritti umani, non solo su Internet. Ma Tim Cook, Ceo di Apple, non ci
pensa proprio a mollare il mercato cinese, in nome della tutela della
privacy e della salvaguardia dei diritti umani. Comunisti o liberals,
siamo tutti capitalisti!