Il Fatto 23.2.18
A proposoto di “agente provocatore”
È Cantone a rinnegare Cantone
di Antonio Esposito
Alcuni
giorni orsono, richiesto dalla giornalista Liana Milella del quotidiano
La Repubblica di un parere sull’introduzione nella nostra legislazione
della figura del c.d. “agente provocatore”, il Presidente dell’Autorità
Nazionale Anticorruzione Raffaele Cantone ha così risposto:
“Assolutamente sì all’agente infiltrato, assolutamente no all’agente
provocatore, perché si crea un reato che non c’è, e perché, come dice
una sentenza della CEDU, si va contro il diritto di difesa”.
Ieri –
dopo un articolo de Il Fatto Quotidiano che segnalava come la
previsione dell’agente provocatore fosse assolutamente necessaria per
sradicare finalmente la dilagante corruzione – il Garante anticorruzione
è tornato sull’argomento con un lungo articolo scritto, a due mani, con
Gian Luigi Gatta, ordinario di diritto penale dell’Università Statale
di Milano, sul Corriere della Sera dal titolo: “Va punito chi fa reati,
non chi potrebbe farli; ecco tutte le incognite dell’agente
provocatore”. Gli autori – dopo aver richiamata “l’esigenza
insopprimibile di garantire il rispetto di diritti fondamentali del
cittadino di fronte alla giustizia penale” – hanno “ricordato quel che
si insegna agli studenti di giurisprudenza: il compito della giustizia
penale è punire (e perseguire) coloro che hanno commesso reati, cioè
fatti socialmente dannosi, non coloro che si mostrano propensi a
commetterne. In secondo luogo, è opportuno riflettere sul fatto che uno
Stato che mette alla prova il cittadino per tentarlo e punirlo, se cade
in tentazione, non riflette un concetto di giustizia liberale”.
Gli
autori, inoltre, dopo aver richiamato la Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo che ha ritenuto illegittimo l’impiego di tale istituto, hanno
sottolineato che “la pratica investigativa che faccia uso dell’agente
provocatore è, all’evidenza, una pratica che si può prestare ad abusi:
chi decide chi, quando e come provocare?”, di qui la necessità di
“garantire il cittadino da possibili abusi della polizia”.
Le
ragioni che militano a favore dell’introduzione nella nostra
legislazione penale della figura dell’agente provocatore sono state già
illustrate nell’articolo pubblicato martedì scorso da questo giornale,
in perfetta sintonia con i pareri di magistrati di assoluto valore come
Pier Camillo Davigo – autentico PM anticorruzione e oggi presidente di
sezione della Corte di Cassazione – e l’ex Procuratore Nazionale
Antimafia Franco Roberti. Non è, quindi, il caso di ritornare su tali
ragioni se non per segnalare la irrilevanza dell’argomentazione secondo
la quale “questa pratica investigativa si può prestare ad abusi”.
Invero, una volta che la figura dell’agente provocatore sia stata
legislativamente riconosciuta, il “provocatore” agirà secondo le
direttive e le modalità indicate dall’Autorità Giudiziaria sotto il cui
costante controllo dovrà operare, il che esclude qualsiasi “possibilità
di abusi della polizia”.
Quello che, invece, qui preme
sottolineare è la circostanza che, in precedenza, il Presidente
dell’ANAC, in una intervista rilasciata nell’agosto 2014 al Corriere
della Sera diceva esattamente il contrario: “Un agente provocatore offre
a un Pubblico ufficiale una grossa somma di denaro per avere un
significativo atto a suo favore, tutto con le garanzie di legge e sotto
il controllo della AG.” Continua al Corriere della Sera Cantone: “Al
Governo direi di ampliare gli istituti dell’agente provocatore validi
per la criminalità organizzata. Non solo il classico infiltrato, penso
anche a chi si finge corruttore, come in materia di droga dove esiste il
simulato acquisto”.
Era, quindi proprio il Capo
dell’Anticorruzione che intendeva proporre al Governo (non si sa se poi
l’abbia fatto) di prevedere la figura, non del “classico infiltrato”, ma
dell’agente provocatore, finto corruttore, che avrebbe dovuto svolgere
il suo compito “sotto il controllo dell’AG”