Il Fatto 21.2.18
Orrore infinito
I due volti di Assad: difende i curdi ma bombarda civili
Il regime manda truppe ad Afrin per bloccare la Turchia, ma a Ghouta colpisce nel mucchio
di Roberta Zunini
Il
siriano Bashar al Assad si è trasformato in questi giorni in un
presidente-dittatore bifronte, esattamente come il suo arci nemico Recep
Tayyip Erdogan, aspirante dittatore, in dirittura d’arrivo, della
repubblica turca.
I due ex “fratelli” – sette anni fa, poche
settimane prima dell’inizio del conflitto i due ancora si frequentavano
con le rispettive consorti e si definivano legati da stima e amicizia
fraterna – ora stanno mostrando al mondo di avere un altro aspetto
comune.
Con l’inizio, tre settimane fa, dell’operazione Ramoscello
d’ulivo, il Sultano ha dato ordine al proprio esercito di invadere il
territorio, ufficialmente ancora sovrano, della Siria per annichilire i
curdi del cantone di Afrin con il pretesto del loro stretto legame con i
curdi che vivono a pochi chilometri appena al di là del confine, nel
sud est della Turchia.
Secondo Erdogan, di fatto tutti i curdi che
vivono sul suolo turco sono terroristi legati al Pkk di Ocalan. Nel
tentativo di mostrare contemporaneamente l’altra faccia, quella
accettabile, secondo lui, Erdogan si è eretto più che mai portavoce
della causa palestinese in opposizione alla scelta degli Stati Uniti di
riconoscere Gerusalemme capitale di Israele.
La stessa cosa sta
facendo ora Assad, mandando le proprie truppe (sostenute dalla Russia e
dall’Iran, attraverso gli sciiti libanesi di Hezbollah) a “proteggere” i
curdi di Afrin, che finora aveva trattato come cittadini di serie C,
privati per nascita delle stesse chance degli altri siriani, ovvero
quelli di orgine araba e religione sciita-alawita. Ora però c’è da
combattere il Sultano e i curdi tornano buoni. Nonostante le pressioni
russe, Erdogan continua ad alzare la voce. Il reis (versione turca
dell’arabo rais) è determinato a continuare la prova di forza contro
Assad e i suoi potenti mentori, confidando nel fatto di essere un membro
cruciale dal punto di vista geo strategico della Nato. Così i turchi
hanno aperto il fuoco ieri contro le forze di Damasco che volevano
entrare a Afrin.
L’agenzia di stampa turca Anadolu riferisce: “I
gruppi terroristici pro regime che si sforzano di avanzare verso Afrin
hanno indietreggiato di circa 10 chilolmetri rispetto alla città a causa
di spari di avvertimento”. Ovviamente Damasco smentisce. Assad pare
determinato a far salire la tensione al confine, con la scusa di
proteggere i civili curdi, mettendo da parte l’ennesimo assedio che si
trasforma in un bagno di sangue, quello di Ghouta, la provincia a est di
Damasco ancora sotto il controllo dei gruppi ribelli al regime, tra i
quali quel che resta dell’Isis. È salito a 98, tra cui 20 bambini e 14
donne, il bilancio delle vittime delle ultime ore dei raid aerei e di
artiglieria governativi sulla zona assediata da tre anni dalle truppe
lealiste. Il bilancio dell’Osservatorio siriano per i diritti umani –
organizzazione che però ha sede nel Regno Unito – arriva a 194 civili
uccisi da domenica. Numeri destinati purtroppo ad aumentare perché i
feriti sono circa 470. Per le Nazioni Unite “non ci sono più parole2 per
esprimere lo sdegno dinanzi alle uccisioni e alle sofferenze dei
bambini nella Ghouta orientale. Il lungo e sanguinoso conflitto siriano è
dunque ancora lontano dal finire e gli scarponi turchi sul terreno
siriano allontanano ancora di più l’uscita dal tunnel. I turchi sono
infatti, seppur in modo ambiguo e scorretto alleati degli americani. Che
nella zona del Rojava – la fascia a nord della Siria lungo il confine
turco e dove si trova Afrin – sono alleati dei curdi siriani in chiave
anti jihadista. Un puzzle che richiederà decenni per essere rimesso a
posto.