martedì 20 febbraio 2018

Il Fatto 20.2.18
L’agente provocatore ci serve
L’ex giudice: “Quella di Fanpage.it iniziativa meritoria e coraggiosa”
L’agente provocatore ci serve
di Antonio Esposito


La coraggiosa e meritoria iniziativa di Fanpage.it ha portato, in primo piano, anche grazie alla forza delle immagini (900 ore di filmati), il problema se introdurre nella nostra legislazione, anche per i reati di corruzione, l’agente provocatore. L’attuale normativa regola le “operazioni sottocopertura” introdotte, per la prima volta, in materia di indagini antidroga. La norma prevede la possibilità di svolgere attività “undercover” “al solo fine di acquisire elementi di prova”, quando si procede per i reati in materia di contraffazione, estorsione, sequestro di persona, usura, riciclaggio e reimpiego di denaro, riduzione in schiavitù, prostituzione e pornografia minorile, armi, munizioni ed esplosivi, immigrazione e per fattispecie delittuose commesse con finalità di terrorismo o di eversione ed in materia di stupefacenti. Queste “operazioni sottocopertura” sono dell’ “infiltrato” che ricorre in colui che si insinua nel tessuto associativo di una organizzazione criminale al fine di scoprirne i partecipanti, la struttura e le finalità perseguite o del falsus emptor come nel caso di falso acquirente di sostanze stupefacenti.
La nostra legislazione non prevede la figura del “falso corruttore”, cioè di colui, (appartenente alle forze dell’ordine o privato cittadino), che si infiltra nella P.a. sotto mentite spoglie per verificare la corruttibilità o meno di un funzionario pubblico promettendogli denaro od altra utilità in cambio di un provvedimento di favore relativamente ad appalti, concessioni ecc..
Il lavoro di Fanpage.it ha riaperto la polemica tra magistrati “contrarissimi” o “tendenzialmente contrari” e quelli “favorevolissimi” alla introduzione dell’agente provocatore anche per i reati di corruzione. Tra i primi, i capi storici di Md, (tutti ex Csm), Edmondo Bruti Liberati, Nello Rossi, Giuseppe Cascini; quest’ultimo ha precisato: “Sì agli agenti sottocopertura, no ai provocatori per la corruzione, non si può usare la polizia per commettere reati; in una parola, non si può ‘creare’ un crimine”. Tra i secondi vi è, oltre naturalmente Piercamillo Davigo, l’ex procuratore Antimafia Franco Roberti secondo il quale “la corruzione è un reato mafioso quindi, contro di essa devono essere usati gli stessi strumenti investigativi”.
Ora, non vi è dubbio che per contrastare la dilagante corruzione sia necessario prevedere la figura dell’agente provocatore. È vero che la Corte di Strasburgo, ritiene violata la clausola “del processo equo” nel caso in cui un soggetto venga condannato per un reato provocato “in senso stretto” dalle stesse forze di polizia, ma – a parte le non sempre perspicue motivazioni delle decisioni della Corte Edu sia in questa materia che in quella sulla criminalità organizzata (basti pensare alla “sentenza Contrada” basata su errori di diritto) – va ricordato che l’art. 50 della Convenzione Onu contro la corruzione consente agli Stati membri di porre in essere “operazioni sottocopertura”. Del resto, poiché il pubblico ufficiale non può, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, ricevere indebitamente denaro o altre utilità, (o accettarne la promessa), da chicchessia, è evidente che egli deve rispondere del reato di corruzione anche se il denaro o l’utilità (o la promessa) provenga dal falso corruttore con il quale ha stretto un accordo corruttivo. Quest’ultimo – se la sua figura è prevista per legge ed agisca sotto le direttive e il controllo del pm – sarà scriminato, ai sensi dell’art. 51 cp, perché, se è agente di pg, la sua condotta sarà stata posta in essere in adempimento del dovere di cui all’art. 55 cpp in virtù del quale la pg ha l’obbligo di assicurare le prove dei reati e di ricercare i colpevoli; mentre se il ruolo di agente provocatore sia rivestito da un privato, sarà sempre operante la scriminante dell’art. 51 poiché la sua condotta è giustificata dall’incarico e dall’ordine legittimamente impartitogli dall’autorità giudiziaria.