Il Fatto 19.2.18
I dieci anni di rabbia e povertà di Atene
La
crisi dalla quale il paese sta forse cominciando a uscire solo ora ha
mutato il panorama sociale tra umiliazioni finanziarie ed episodi di
corruzione
di Roberta Zunini
La prima volta in
cui Alexis Tsipras neo-leader di Syriza, la coalizione di sinistra
radicale, pensò di avere qualche chance di vincere le elezioni fu nel
2012. Lo sottolineò in apertura del primo comizio elettorale all’inizio
della campagna per le consultazioni di giugno di quell’anno. Ad
ascoltarlo, nel quartiere operaio di Nikea (Vittoria, ndr) nei pressi
del Pireo, il porto di Atene, c’era però solo un centinaio di persone.
La maggior parte erano donne, perlopiù mogli e figlie delle migliaia di
disoccupati di quella che fino al 2009 era l’industria più fiorente del
paese: la cantieristica navale. I loro mariti e padri, fieri operai che
fino ad allora avevano votato per il partito comunista greco e
soprattutto per i socialisti del Pasok, preferirono invece rimanere a
casa o cambiare percorso. In direzione del comizio di Alba Dorata, a
poca distanza. Il partito neonazista e xenofobo greco stava infatti
ritirando fuori la testa con una spavalderia mai mostrata fino a quel
momento e toni ancora più populisti del solito, approfittando della
crisi politico-economica di giorno in giorno più drammatica e
dell’affluenza sempre più massiccia di profughi da Afghanistan e Siria.
Ufficialmente
il tracollo economico greco diventò di dominio pubblico nel 2009, ma
era un segreto di pulcinella anche tra i non addetti ai lavori già da un
anno. Sono pertanto dieci anni che la maggior parte dei greci – 11
milioni in tutto – vivono in condizioni da terzo mondo. Anche durante
questi mesi invernali sono ancora in tanti a non potersi permettere di
pagare il riscaldamento e a ricorrere alle stufe a legna.
La
tragedia più devastante della storia contemporanea greca dopo la fine
della dittatura dei Colonnelli nel 1974 fu dichiarata da George
Papandreou, figlio di Andreas, fondatore del partito socialista
panellenico Pasok e già primo ministro. George (esponente della famiglia
che dall’uscita di scena della Giunta militare si è alternata fino al
2015 alla guida della repubblica greca con la famiglia Karamanlis e
Mitsotakis del partito conservatore Nea Dimokratia), da poco diventato
premier ammise apertis verbis che il deficit statale era in realtà il
doppio di quello stimato dal precedente governo. Per questo lo Stato
greco sarebbe potuto collassare a causa dei debiti contratti e
dichiarare bancarotta. Poco dopo l’agenzia di rating Fitch retrocesse il
Paese da A- a BBB, definendo spazzatura i titoli di Stato. Nel 2010,
per la prima volta dalla costituzione dell’Unione europea, un paese
membro si ritrovò a chiedere un prestito alla stessa Ue e al Fondo
Monetario Internazionale.
Da allora, nonostante e a causa dei
prestiti capestro della troika – Unione europea, Banca Centrale Europea e
Fmi – la disoccupazione è andata via via impennandosi e nemmeno la
vittoria di Syriza alle elezioni del 2015- dunque 3 anni dopo l’inizio
della scalata al potere di Tsipras – ha invertito la spirale negativa.
Eletto due volte durante l’anno, dopo il pasticciaccio del referendum
del 5 luglio e il crollo del sistema bancario, il leader della sinistra
radicale si è ritrovato a dover fare i conti con la dura realtà di chi
va al governo e quindi ad accettare i compromessi della realpolitik.
Emblematica fu la frase: “Volete anche la mia giacca?” che Tsipras
pronunciò durante il tesissimo incontro con gli esponenti della troika
nell’agosto di quell’anno per ottenere il terzo salvataggio. Ovvero una
nuova tranche di prestiti in cambio di riforme draconiane che hanno
strangolato ancora di più il ceto medio spingendolo nell’indigenza vera e
propria.
Una tragedia socio-economica di cui Tsipras non aveva
alcuna colpa. Perché era stata provocata dalla malapolitica e dalla
corruzione del partito conservatore Nea Demokratia e del socialista
Pasok, che per più di quaranta anni hanno governato a fasi alterne il
Paese.
Nonostante gli indicatori macroeconomici segnalino un
miglioramento, le condizioni di vita del “coro greco” sono ancora molto
difficili. La microeconomia, e di conseguenza le possibilità economiche
della gente comune, rimangono pressochè bloccate a causa delle
scioccanti misure di austerity imposte dalla troika. A dirigere fin
dall’inizio l’orchestra dell’austerity è stato il ministro uscente delle
Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, che mirava a punire la Grecia per
mostrare al resto dell’Unione che i desiderata di chi tiene la bacchetta
economica della Ue in mano vanno seguiti senza discutere. Pena
l’espulsione. Ma non prima di aver di fatto appoggiato il saccheggio
degli asset dello Stato greco da parte di società tedesche, come
Fraport. Un esempio per tutti: l’acquisto in blocco a prezzo stracciato
delle concessioni per la gestione dei 14 aeroporti interni greci.
A
lucrare sulla miserrima condizione socio-economica e sulla corruzione
endemica della classe politica greca hanno contribuito anche
multinazionali di paesi esterni all’Unione. Come il gigante farmaceutico
svizzero Novartis che ha corrotto, secondo la magistratura ellenica, i
principali esponenti dei due maggiori partiti oggi finiti
all’opposizione sopra citati. In cambio di cospicue tangenti all’ex
primo ministro conservatore Samaras, all’ex vice premier ed ex ministro
degli Esteri socialista Venizelos, al Commissario Ue all’’Immigrazione
Avramopulos fino al governatore della banca centrale greca Stournaras e
ad altri ministri e parlamentari, Novartis è riuscita a imporre i propri
farmaci e ausili paramedici al sistema sanitario pubblico. Inoltre ha
imposto anche l’aumento dei loro prezzi che fungono da parametro di
riferimento per determinare i costi degli stessi medicinali negli altri
paesi dell’Unione. Tra i quali l’Italia. Mentre la magistratura attende
che il Parlamento decida se acconsentire o meno a togliere l’immunità ai
parlamentari coinvolti per metterli sotto processo, proprio Stournaras –
in qualità di governatore della Banca Centrale – ha recentemente
diffuso previsioni economiche positive per l’anno in corso e soprattutto
per il 2019. La luce in fondo a un tunnel lungo dieci anni.