lunedì 19 febbraio 2018

Il Fatto 19.2.18
Grecia
Un popolo fiero tradito e trafitto nell’orgoglio
di Matteo Nucci


Una delle feste nazionali più importanti in Grecia cade il 28 ottobre. È il giorno del “Grande No”. Il No con cui Ioannis Metaxas nel 1940 rispose a Mussolini e alla sua pretesa di occupare militarmente il Paese. Nel nuovo millennio greco, invece, non esiste data più importante del 12 luglio 2015. La notte in cui Tsipras ha trasformato un altro “Grande No” in un drammatico Sì. La notte in cui l’attuale Premier sconfessò il risultato del referendum di una settimana prima in cui oltre il 60 per cento dei Greci aveva rifiutato il memorandum imposto dalla Troika, firmandone uno a condizioni ben peggiori del precedente.
La storia probabilmente ricorderà quella data come la fine della Primavera greca. Ma chi conosca bene il Paese sa che quel giorno si è perso molto di più. Non soltanto l’entusiasmo di una specie di vague che aveva fatto di Atene il centro del mondo occidentale, con tutte le speranze di cambiamento e nuove prospettive per l’intera Europa e il capitalismo occidentale tutto. Quel giorno i greci esterrefatti si sono ritrovati senza l’arma più grande con cui hanno vissuto la loro storia secolare: l’orgoglio. Bisogna tenere a mente due fatti che, con la loro potenza ideale, formano il Dna del greco moderno. Innanzitutto la dominazione turca durata oltre quattro secoli. Eppoi l’indipendenza, raggiunta nel 1827 e coronata nel 1832 dall’istituzione di una monarchia imposta dalle grandi potenze che scelsero per Atene un re bavarese: Ottone di Wittelsbach.
Un Paese dalla storia immensa fu dunque costretto a subire l’umiliazione di percepirsi come un Protettorato anche nel momento della più gloriosa indipendenza. L’orgoglio, tuttavia, ha continuato a formare il carattere greco. Il radicalismo antiamericano ne è stato una prova lampante nel secondo Novecento. Oggi, quell’orgoglio è ferito a morte. Autore del crimine il politico di sinistra che per dar seguito alle promesse fatte a Bruxelles ha sconfessato tutte quelle fatte al popolo, lasciando al Paese solo il senso dell’offesa. I numeri con cui le analisi macroeconomiche sanciscono una presunta ripresa non possono raccontare questa offesa. Tanto violenta da annichilire le illusioni di ogni generazione e ogni credo politico.
Ricordo perfettamente l’entusiasmo trasversale dei giorni che precedettero quel 12 luglio. Erano in pochi a non sentirsi fieri di poter di nuovo offrire una via all’Europa. Anche chi aveva votato Sì partecipava con speranza. Ricordo uomini e donne storicamente conservatori improvvisamente rapiti dal fascino di Yanis Varoufakis, massima incarnazione del No greco alla Troika. Notoriamente, nulla è peggio dell’umiliazione di un popolo orgoglioso nel momento della sua massima speranza. Quel che è venuto dopo infatti è stata la disillusione più profonda che ha conquistato tutti i segmenti sociali e politici del Paese.
Una perdita di prospettive radicale come potrebbe solo il radicalismo greco. La scorsa primavera, Atene ha accolto dOCUMENTA 14 la più grande manifestazione di arte contemporanea in Europa per la prima volta uscita dai confini di Kassel per “imparare da Atene”, come recitava lo slogan. Ma si trattava di uno slogan forgiato prima del luglio 2015. Quel che s’impara da Atene in questi anni è semmai la rabbia di chi è stato irriso, umiliato e calpestato per dimostrare la forza di un’Europa di cui nessuno cura più l’anima.