Il Fatto 18.2.18
Il governo costretto alle scuse per far pace con vescovi e Curia
Dopo
le polemiche su mafia e Chiesa - Amen. Alla cerimonia per i Patti
Lateranensi prima Boschi e poi Orlando fanno atto di contrizione
Il governo costretto alle scuse per far pace con vescovi e Curia
di Wanda Marra
“La
campagna elettorale? Mi faccio tutti i vescovi del mio territorio, uno
per uno”. L’ultimo a spiegare come si fa è stato il candidato Claudio
Lotito. Il governo del Pd, dal canto suo, non è da meno e, dopo aver
irritato assai la Conferenza episcopale italiana (Cei) e la Curia, ha
dovuto cospargersi il capo di cenere nel corso della cerimonia per
l’anniversario dei Patti lateranensi martedì scorso: hanno dovuto
chiarire e scusarsi prima, irritualmente, la sottosegretaria Maria Elena
Boschi in pubblico e poi, in privato, il Guardasigilli Andrea Orlando,
il vero responsabile dell’incidente col Vaticano.
Tutto comincia a
fine novembre durante gli Stati generali della lotta alle mafie
organizzati a Milano dal ministero della Giustizia. Il problema deriva
dal Tavolo 13 dedicato a “Mafia e religione”, coordinato dallo storico
Alberto Melloni, da sempre vicino al Pd e in particolare ad Orlando:
nelle conclusioni viene ad esempio menzionata, tra le “proposte non
accolte”, quella di “costituire un osservatorio sulla predicazione in
Italia, composto di studiosi e giornalisti, per consentire ai
responsabili delle comunità di fede nelle quali si suppone vi sia un
reclutamento criminale, di vigilare e poter intervenire”. E si parla di
“un lavoro d’inchiesta” per “registrare lo stato attuale della
predicazione pronunciata contro o a favore delle organizzazioni
mafiose”. Una sorta di controllo delle omelie presenti e passate che non
è piaciuto affatto alla Cei (che peraltro ai lavori del tavolo non
aveva partecipato). Anche se le proposte non vengono accolte e dunque
non se ne farà niente, il documento viene considerato un’invasione di
campo inaccettabile. E, per di più, arretrato rispetto alla reale
situazione della Chiesa.
Lo scontro a bassa intensità era iniziato
già prima, quando Melloni – nella fase di preparazione degli Stati
generali – chiede al segretario generale della Cei, Nunzio Galantino,
secondo quanto racconta al Fatto Quotidiano, di avviare una
consultazione con i vescovi sui rapporti tra la Chiesa e la mafia. In
particolare, gli chiede di raccogliere le omelie dei sacerdoti vittime
di mafia dal 1945 in poi. Galantino non risponde. E così nella sintesi
finale si legge: “La difficoltà manifestata dalla presidenza e dalla
segreteria generale della Cei a contribuire in forma di audizione
scritta ai lavori del tavolo e il diniego alla richiesta di indirizzare
all’episcopato una lettera che chiedeva a ciascuna chiesa diocesana di
confessione cattolico-romana di prendere posizione sul tema è indice
della fattuale estraneità delle Chiese – o, almeno, sicuramente della
Chiesa cattolica – a una lotta alle mafie che, essenzialmente, è
condotta soltanto dalle istituzioni dello Stato”. E ancora: “Non siamo
in grado di porre nelle condizioni il magistero dei vescovi diocesani e
delle stesso vescovo di Roma di agire con efficacia contro le mafie”.
La
cosa provoca l’irritazione di vescovi e Vaticano. Galantino, come
detto, agli Stati generali non si presenta (il suo precedessore Angelo
Bagnasco a quelli precedenti, dedicati all’esecuzione penale, c’era
invece andato), ma all’assemblea dell’associazione antimafia “Libera”
all’inizio di febbraio attacca duramente il documento di Melloni: “Tra
le affermazioni, banalità non documentate, scritte con una buona dose di
arroganza e sicuramente sostenute da preconcetti e mancanza di
conoscenze dirette, leggo di una fattuale estraneità della Chiesa
cattolica a una lotta alle mafie”. E invece nella guerra alle
associazioni criminali “ci siamo anche noi. La Chiesa italiana ci sta.
Ci stanno i singoli credenti, tanti preti e vescovi, tante realtà
ecclesiali”.
Per un governo che con la Chiesa si è sempre
preoccupato di tenere ottimi rapporti, l’incidente, a un mese dalle
elezioni, non è proprio il massimo. E così la questione riemerge martedì
per il compleanno dei Patti Lateranensi. Le delegazioni sono al gran
completo. Lato Chiesa: il segretario di Stato Pietro Parolin, il
sostituto monsignor Angelo Becciu e il segretario per i Rapporti con gli
Stati, monsignor Paul Richard Gallagher; per la Cei, Galantino, il
presidente Gualtiero Bassetti e il portavoce, don Ivan Maffeis. Lato
governo: Paolo Gentiloni, ovviamente, e i ministri Valeria Fedeli,
Marianna Madia, Pier Carlo Padoan, Roberta Pinotti, Marco Minniti e la
stessa sottosegretaria Boschi (oltre, ovviamente, al capo dello Stato
Sergio Mattarella e al presidente del Senato Pietro Grasso). “La
collaborazione tra noi e il governo italiano è molto buona”, chiarisce
in apertura il presidente dei vescovi Bassetti. Poi, racconta chi c’era,
butta lì un accenno a certe “incomprensioni” recenti. A portare pace ci
pensa, zelante, Boschi: “Mi rifaccio a quello che ha detto Bassetti per
ribadire la nostra ottima collaborazione. Se ci sono stati dei
fraintendimenti, sono stati superati”. Non proprio delle scuse, ma
quasi, e per di più concesse in modo inedito da una sottosegretaria alla
presenza del premier e di molti ministri (nel governo Renzi era Luca
Lotti che teneva i rapporti coi vescovi e Gentiloni non le ha mai
affidato questo compito). Palazzo Chigi, comunque, appoggia Boschi:
“Parla a nome del premier”.
Orlando era assente. Piuttosto
singolare che si discuta di una cosa seguita dal suo ministero senza di
lui. Il ministro però arriva dopo la cerimonia e si intrattiene con
Galantino. Un “chiarimento” ulteriore è necessario. Melloni e il
ministero (e il ministro) della Giustizia hanno fatto evidentemente il
passo più lungo della gamba. Tanto è vero che lo stesso storico col
Fatto minimizza: “Io e Galantino ci siamo chiariti. Quando nel documento
parlavamo di estraneità, volevamo semplicemente riportare un fatto,
ovvero che la Cei non ha collaborato con i nostri lavori. C’è stato un
equivoco”. Se equivoco è stato, di certo è stato parecchio importante,
visto che alla prima occasione il governo si è fatto bacchettare in
pubblico.