Il Fatto 17.2.18
Il fulcro della musica sacra di Bach è Bach
La riforma - “Io, io, io”: il Cantor al servizio della fede più che il Dio di Lutero mette al centro se stesso
Il fulcro della musica sacra di Bach è Bach
di Paolo Isotta
Molti
considerano Beethoven il culmine dell’arte della musica e del suo
sviluppo storico; altri vedono tale apice in Wagner; certo con pari
fondamento tale culmine può essere reputato Bach. Ma del pari Johann
Sebastian è considerato il vertice della musica sacra luterana, e del
rapporto fra il luteranesimo e la musica. Nella trattazione che, per i
cinquecento anni della Riforma, ho promessa del tema, eccoci al punto
capitale.
Che la fama di Bach si fosse oscurata nel Settecento
oggi sempre meno si crede. La sua opera per tastiera, atta al
clavicembalo ma ancor più al moderno pianoforte, e in particolar modo
Das wohltemperierte Clavier, venne da subito vista come il testo
capitale per la formazione pratica e di altissima teoria musicale del
pianista, e del compositore; e direi, insieme con le Sonate del coetaneo
Domenico Scarlatti. Pure, la rivendicazione che di Bach si fece sin dal
primo Ottocento ha il doppio carattere del nazionalismo tedesco e del
nazionalismo luterano: che poi sono una cosa sola. La biografia del
Maestro incoraggia a vederlo l’aedo principe della Riforma. Ebbe varî
impieghi, ma a un certo punto fu dipendente della città di Lipsia nella
qualità di Cantor. Doveva provvedere al servizio di musica liturgica,
nonché all’insegnamento.
In questa veste Bach compose le sue opere
oggi più celebri, le Passioni; e la gran massa di Cantate per il
servizio domenicale. Sono impregnate di una pietà religiosa
profondissima; e certo nell’intenzione dell’Autore esse debbono, se non
propagandare la religione, di certo esortare verso di essa. Ma con quali
mezzi? Bach è un sommo architetto della musica, e certo v’è in lui
qualcosa dei costruttori di cattedrali gotiche. Ma è una personalità
dotata d’una necessità espressiva violentissima, a tratti addirittura
morbosa, d’un lirismo intenso e debordante. Le sue Passioni sovente
scandalizzavano i pii ascoltatori perché apparivano loro musica
teatrale. La musica doveva essere al servizio della Parola liturgica; la
musica di Bach la prende, la Parola, la sussume, la incornicia entro
forme gigantesche, ne fa oggetto di una interpretazione, poi di una
rappresentazione, così violenta, così personale, così pittorica, così
scultorea, così derivata sia dalla tecnica dell’affresco che da quella
della miniatura, da annullarne l’obbiettività. Il protagonista della
musica sacra di Bach è Bach assai più che il Dio veterotestamentario e
il Cristo Salvatore; allo stesso modo, per esempio, che la Cantata Avevo
molta afflizione incomincia con la poderosa ripetizione corale del
pronome Io, tre volte: “Ich, ich, ich”.
Nessuno ha eretto al
Corale luterano il monumento della sue opere per organo – e dei suoi
Mottetti, che sono forse il culmine stesso della polifonia vocale. Ma la
selva del linguaggio e le proporzioni lo eternano sottraendolo alla
liturgia, alla stessa religione. L’insieme della creazione di Bach lo
mostra genio faustiano e proiettato verso il futuro. Forse la musica
strumentale gl’importava addirittura di più. La stessa finitura, la
stessa pervicacia, egli adopera nelle Variazioni scritte per alleviare
l’insonnia di un nobile diplomatico, nella Messa cattolica per
l’elettore di Sassonia, nei Concerti, nelle Sonate e Partite: nelle
grandiose Cantate profane, che ce lo mostrano sommo Autore di teatro che
al teatro non si accostò mai. Le opere teoriche di questo latinista e
grecista – Il sacrificio musicale e L’Arte della Fuga – palesano
un’ambizione, pienamente attuata, di chi si considera il punto di
confluenza della storia della musica e addirittura l’erede di Pitagora. E
questo sarebbe il pio artigiano al servizio della Fede?