Il Fatto 14.2.18
Molestate 4 donne su 10. L’80% non lo dice a nessuno
Rapporto
Istat - 8,9 milioni (e 3,8 milioni di uomini) riferiscono almeno un
episodio, ma c’è un lieve calo. Casi costanti sul lavoro
Molestate 4 donne su 10. L’80% non lo dice a nessuno
di Lorenzo Giarelli
Quasi
una donna su due è stata vittima di molestie sessuali in Italia nel
corso della propria vita. È il dato più allarmante emerso dal rapporto
Le molestie e i ricatti sessuali sul lavoro pubblicato ieri dall’Istat e
riferito a una ricerca del 2015/2016, secondo cui sarebbero 8 milioni e
816mila (il 43,6% del totale) le donne tra i 14 e i 65 anni che nel
corso della loro vita hanno subito qualche forma di molestia sessuale.
Le vittime negli ultimi tre anni (2 milioni 578mila) sono in calo
rispetto alle 3 milioni e 778mila rilevate nel triennio 2007-2009. E per
la prima volta il rapporto rileva anche dati sulle molestie subite
dagli uomini: sarebbero 3 milioni 754mila gli uomini che hanno subito
molestie nel corso della propria vita (il 18,8% del totale), di cui 1
milione 274mila negli ultimi tre anni (6,4%).
La ricerca Istat,
basata su un campione di oltre 50.000 intervistati, fornisce indicazioni
anche sulle molestie in ambiente lavorativo. Secondo le stime sarebbero
1,4 milioni le donne che hanno subito molestie fisiche o ricatti
sessuali sul posto di lavoro, di cui 425mila negli ultimi tre anni di
riferimento. Non solo: sono rispettivamente l’11,9% e il 10,1% le
vittime che per essere assunte hanno ricevuto ripetute richieste di
prestazioni sessuali e offerte di disponibilità sessuale dal datore di
lavoro, ed è altissima (32,4%) la percentuale delle donne che ancora
dice di ricevere quotidianamente o più volte a settimana ricatti
sessuali sul posto di lavoro.
Un quadro ancor più preoccupante se
si considera che nell’80,9% dei casi le vittime preferiscono non parlare
delle violenze con i colleghi o con i superiori. Percentuali residuali
denunciano i fatti alle Forze dell’Ordine, complice un quadro normativo
non sempre chiaro. Il concetto di molestie rimane infatti indefinito,
come confermano Laura Calafà e Donata Gottardi, docenti di Diritto del
lavoro all’Università di Verona ed esperte di pari opportunità: “Un atto
si considera molesto se è percepito come tale da chi lo riceve. Questo
lo rende un concetto volutamente ampio, anche dal punto di vista del
diritto”. Che cosa è considerato molesto? Secondo i criteri dell’Istat,
si possono ritenere moleste certe dichiarazioni (proposte indecenti,
commenti pesanti sull’aspetto fisico), atti di esibizionismo degli
organi sessuali, pedinamenti, telefonate e messaggi ripetuti o
sessualmente espliciti, furti di identità sui social netowrk, fino agli
atti fisici, riconosciuti anche dal diritto come violenze sessuali
(carezze, baci e contatti contro la volontà della vittima).
“Ma
anche un invito a cena, se ripetuto più volte nonostante i rifiuti –
sostiene Gottardi – può diventare una molestia”. “C’è un altro tipo di
violenza sottovalutata – aggiunge Calafà – e potremmo chiamarla
‘molestia ambientale’. Negli Stati Uniti, se in un luogo di lavoro viene
appeso un calendario sexy, è considerato un ambiente molesto, anche se
nessuna donna potrebbe accusare qualcuno in particolare di violenza”.
Nel
report sono le violenze verbali ad essere le più diffuse: l’Istat
rileva che il 24% delle donne ne sia stata vittima negli ultimi tre anni
di riferimento, percentuale più alta rispetto ai casi (15,9%) di
molestie con contatto fisico. Il dato relativo alle vittime di molestie
fisiche risulta più che dimezzato sul luogo di lavoro (dal 5,7% del
1997-1998 al 2,7% del 2015-2016), un miglioramento che l’Istat fa
risalire al “frutto a lungo termine dei mutamenti del quadro
legislativo, ma anche del diverso ruolo dei media negli ultimi anni,
nonché dell’emergere di una nuova coscienza femminile”.
Una
ricostruzione che tiene conto dell’introduzione del reato di stalking,
che risale al 2009, ma che è condivisa solo il parte da Calafà: “In
ambito lavorativo è cambiato poco o niente e le molestie continuano a
emergere con fatica, perché quasi sempre provengono dai superiori o
dagli stessi datori di lavoro”. Ma qualcosa è cambiato con il jobs act:
“C’è un effetto collaterale della riforma per cui se prima, grazie
all’articolo 18, il reintegro scattava anche dopo i licenziamenti per
motivi economici o disciplinari, adesso è consentito solo nei casi
discriminatori, in cui possono rientrare le molestie. Questo ha fatto
emergere molti più casi rispetto al passato”.