sabato 24 febbraio 2018

Ex teorico “operaista” negli anni Settanta, dopo aver scritto “Operai e capitale” ed essere stato a lungo un punto di riferimento della sinistra radicale, convertitosi al cattolicesimo, divenne il più fanatico di quelli che furono allora indicati come i “marxisti ratzingheriani”, oggi supporter entusiasti di Bergoglio.
Repubblica 24.2.18
Intervista a Mario Tronti
“L’antipolitica che fregatura. Ha coperto le colpe dei padroni”
di Concetto Vecchio


Senatore uscente del Pd
Mario Tronti, 86 anni, filosofo, è stato uno dei protagonisti del ‘68 italiano. Militante del Pci, fece parte del comitato centrale. Negli anni Sessanta con Raniero Panzieri ha fondato la rivista “Quaderni Rossi”. Nel 2013 è stato eletto in Senato nel Pd. Non si ricandida

ROMA «In questi anni passati in Parlamento ho capito che la crisi della politica è una cosa molto seria», dice Mario Tronti, 86 anni, nel suo studio di fronte al Senato. La sua avventura nel Palazzo è finita. Cinquant’anni dopo il ’68, di cui fu uno dei protagonisti, come teorico dell’operaismo, la sinistra appare divisa come non mai e il fascismo è tornato di attualità.
Per chi voterà?
«Per il governo Gentiloni. Se il Pd chiedesse agli elettori: siete a favore o contro Gentiloni, crescerebbe di molti punti. Non vedo alternative di eguale qualità: ho apprezzato Minniti, Orlando, Padoan. Anche Calenda, quando parla, sa quel che dice».
Lei però è entrato in Parlamento grazie a Bersani.
«Sì, restano i miei compagni, ma la scissione è stata un errore.
Bisogna sempre stare dove sta la forza maggiore, provare a orientarla dall’interno».
Perché la sinistra è messa così male?
«Una delle colpe è stata quella di non aver combattuto l’antipolitica come nemico principale».
Può spiegarsi meglio?
«Vede, l’antipolitica è stata un’operazione gestita essenzialmente dall’alto che infatti ha messo a riparo dalle critiche i padroni, il grande capitale, mentre la classe politica è stata trasformata nella destinataria di tutte le collere popolari. È capitato anche a me, uscendo dal Senato, di essere investito da insulti per il solo fatto di essere un parlamentare».
La gente però non crede più ai partiti. Si può avere fiducia in organismi che sono tutt’al più dei comitati elettorali?
«Ma restano il canale più corretto per selezionare il ceto politico: nella prossima legislatura bisognerà mettere mano a questo tema, a partire dall’articolo 49 della Costituzione».
C’è in Italia un problema di classe dirigente?
«Sì. Non ci sono più i canali tradizionali, che erano i partiti e il Parlamento, adesso il ceto politico viene selezionato dagli umori della piazza o dai capricci del capo».
Lei vive in periferia. Che umori coglie?
«Gli ultimi sono sempre più abbandonati a se stessi, ma anche i penultimi. Non ho nulla contro la politica dei diritti, ma al Laurentino 38 non sanno che farsene, perché lì hanno dei bisogni molto più urgenti».
Per chi votano al Laurentino 38?
«Un tempo per la destra, soprattutto An, ora in massa Cinquestelle e centrodestra. Qui il Pd non ha alcuna presa politica».
I Cinquestelle restano i grandi favoriti nonostante Rimborsopoli. È stupito?
«Mah, seguo la vicenda distrattamente».
L’ha detto anche Sergio Zavoli.
«È un uomo saggio».
Ma che giudizio politico dà del M5S?
«Se andassero al governo sarebbe un disastro per il Paese.
Cavalcano la rabbia, senza trasformarla in politica. Ma la cosa che temo di più è un’eventuale alleanza con la Lega. Speriamo di salvarci da questa deriva ultima dell’anomalia italiana».
È preoccupato del ritorno del neofascismo?
«Come tutti, ma penso anche che non bisogna sopravvalutare il fenomeno. Va evitato lo scontro tra minoranze armate».
Sarà in piazza oggi?
«Sì, è la risposta giusta».
La campagna elettorale si gioca sul tema dell’immigrazione. Il Pd rincorre la destra?
«È un problema che non si risolve con gli appelli del Papa, né ideologicamente, dicendo: “Accogliamoli tutti”. Chi lo dice spesso vive in quartieri dove gli immigrati in carne e ossa non si vedono mai. Nelle periferie invece l’immigrato è quello della porta accanto, ed è percepito talvolta come un problema reale. Temono la microcriminalità o di perdere il posto di lavoro».
Il fatto che il Pd sia forte soprattutto nei quartieri benestanti distorce la sua visuale?
«Sì, perché non capisce che la persona che fatica ad arrivare alla fine del mese non può aprire le braccia a chiunque».
Il Pci invece era popolare.
Poi cos’è successo?
«La sinistra ha smarrito la sensibilità di capire quello che vive e pensa la persona comune.
Non coglie più il disagio delle persone. E lo paga, perdendo consenso».
Vede in Italia un rischio autoritario?
«No, quello no. I veri pericoli piuttosto vengono dal basso, da questo rancore sordo, incapace di ascoltare, un umor nero che rischia di travolgere tutto».
L’astensionismo sarà il primo partito?
«Non saprei. Però nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro bisognerebbe distribuire in milioni di copie l’articolo del giovane Gramsci: “Odio gli indifferenti”. I giovani contano poco perché sono sempre di meno, ma devono capire che la politica non è quella cosa sporca descritta in questi anni: la politica è lo strumento per cambiare le cose».