La Stampa TuttoLibri 24.2.18
Dal sangue di Gennaro al prepuzio di Gesù:
il corpo dei santi moltiplica fede e miracoli
Una
guida quasi turistica alle reliquie conservate nel nostro Paese fra
ritrovamenti, furti, ostensioni. E qualche doppione di troppo
di Alberto Mattioli
Corpi
interi o a pezzi. Disseppelliti, ritrovati, trafugati, traslati,
inumati, imbalsamati, mummificati. E poi smembrati, divisi,
moltiplicati: dita, mani, gambe, piedi, teste, lingue, cuori. Ma anche,
per esempio, il prepuzio di Cristo. Corpi miracolosi, adorati, pregati,
invocati, baciati. Reliquie offerte alla devozione dei fedeli, al
business dei mercanti, all’incredulità degli scettici, all’ironia degli
illuministi, alla curiosità di tutti. Reliquie di prima classe, quelle
provenienti direttamente dal corpo del santo, «ex ossibus, ex carne, ex
praecordis, ex piliis, ex cineribus, ex tela imbuta sanguine», oppure di
seconda, diciamo così, «indirette»: gli abiti, il cilicio, la polvere
grattata dal sepolcro, la manna stillata dalle ossa, l’olio della
lampada votiva e così via. Fino ai sandali di Gesù, alla Sacra Culla,
alle lenticchie dell’Ultima Cena, alla spugna imbevuta d’aceto della
Crocifissione.
Ecco un saggio di Marco Orletti che è una delizia
dall’inizio alla fine, per credenti e non. Guida alle reliquie
miracolose d’Italia è un vademecum per orientarsi fra queste
testimonianze, vere o presunte, del Sacro. Un Sacro tutt’altro che
trascendente, anzi a portata di vista, di tocco, di bacio. Una
religiosità prêt-à-porter, per tutti i san Tommaso che non credono se
non vedono.
Appunto: crederci o non crederci? Orletti è
moderatamente scettico, talvolta ironico, mai irrispettoso. Certo, non
rinuncia a rilevare contraddizioni anche clamorose. I denti di
sant’Apollonia sono così numerosi che quando Paolo VI ordinò di
raccogliere tutti quelli sparsi per l’Italia riempirono una cassetta di
tre chili e mezzo.
Il Santissimo Prepuzio di Gesù (discusso, però:
dal 3 febbraio 1900, un decreto della Congregazione per la Dottrina
della fede «vieta a chiunque di scrivere o parlare della reliquia»)
sarebbe conservato a Calcata, 906 abitanti in provincia di Viterbo. Ma
in giro per l’Europa ce ne sono almeno altri dodici. Per la precisione, a
Santiago di Compostela, Chartres, Besançon, Metz, Hildesheim, Conques,
Langres, Fécamp, Puy-en-Velay, Coulombs, Charroux e Anversa. Dopo i pani
e i pesci, la moltiplicazione dei prepuzi. Che dire se non: miracolo!
Ci
sono anche personaggi dubbi. San Giorgio (il cranio è a Roma, un
braccio a Brindisi, una mano a Varzi, e una costola del drago che
avrebbe ucciso ad Almenno) forse non è mai esistito, e infatti la Chiesa
lo ha declassato a «memoria facoltativa». Santa Barbara (il corpo è a
Burano, la testa a Montecatini, ma senza una mandibola che si trova a
Pisa. Però una mammella ce l’hanno gli ortodossi, a Novgorod) non è
documentata storicamente. I tre Re Magi (reliquie estradate dal
Barbarossa da Milano a Colonia, ma due fibule, una vertebra e una tibia
sono ancora a Milano) forse non erano tre e forse non erano nemmeno Re.
Compaiono,
ovviamente, tutte le reliquie più famose, a cominciare dalla Sindone,
dalla lingua di sant’Antonio (celebre predicatore quindi, come dire, era
il suo strumento di lavoro) e dal sangue di san Gennaro. Altre sono più
oscure, come la goccia del Sacro Latte della Vergine conservata a
Montevarchi o il Sacro Capello, sempre della Madonna, tuttora portato in
processione a Palmi.
In ogni caso, l’aneddoto più divertente
benché volgarissimo, da film di Pierino con Alvaro Vitali, riguarda san
Gengolfo martire, poco popolare in Italia ma assai venerato in Francia e
nell’Europa del Nord: del resto, era borgognone. Però nella ricchissima
collezione conservata a Torino, in santa Maria Ausiliatrice, così ben
provvista che fino a qualche tempo fa si esibiva alla venerazione dei
fedeli una «reliquia del giorno», tipo l’analogo piatto in trattoria,
c’è anche un frammento del suo corpo. Gengolfo è il patrono dei
malmaritati, viste le sue disavventure coniugali con una moglie che,
informa Orletti, «non aveva molta simpatia per il marito e lo
considerava un idiota», mentre lui la sopportava, è il caso di dirlo,
con santa pazienza. L’aneddoto riguarda appunto questa Santippe. Saputo
che sulla tomba del marito si verificavano miracoli a ripetizione, la
(poco) gentildonna esclamò: «Gengolfo fa miracoli? Sì, come il mio
culo». E qui se ne verificò subito un altro. Lasciamo la parola
all’autore: «Tanto cinismo le si ritorce contro: appena pronunciate
queste parole, si sente una gran scoreggia. Così, ogni volta che la
donna apre bocca, si sente una scoreggia. E non solo quel giorno, che è
un venerdì, ma tutti i venerdì a venire: una squallida e fragorosa
fanfara, per dirla con le parole di Roswitha di Gandersheim», autrice
appunto, nel X secolo, di un Martirio di san Gengolfo.
In effetti, quanto a martirio di peggio non ci sono che certi matrimoni.