Corriere 8.2.18
«In un’Italia arrabbiata i cattolici rischiano di diventare irrilevanti»
Il cardinal Ruini: un bene il no al referendum costituzionale
di Massimo Franco
Ammette
che l’Italia è meno cattolica di un tempo. Vede nel calo demografico il
problema più grave, «perché distrugge le speranze». Archivia come «una
triste deviazione» la legge sul fine vita e le unioni civili. Si dice
«contento che la Costituzione non abbia subito le modifiche al
referendum istituzionale». E in politica vede una «fase nuova in cui i
cattolici rischiano l’irrilevanza». Il cardinale Camillo Ruini,
presidente della Cei dal 1991 al 2007, analizza la sua Italia, sotto le
foto di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Quanto resta di cattolico nell’Italia del 2018, eminenza?
«Difficile
fare valutazioni: solo Dio conosce i cuori. Umanamente parlando, di
cattolico sembra ci sia meno che una decina di anni fa: in convinzione e
in pratica della fede. Ma ci sono anche molti cristiani autentici, che
chiamerei santi. Quindi, non è il caso di disperare».
Pochi figli,
disoccupazione giovanile sul 40 per cento, e valori morali non proprio
di moda. La Chiesa non ha una parte di responsabilità?
«Il calo
demografico riguarda l’Italia da tempo. Lo ritengo il problema più
grave, perché distrugge la speranza di futuro. Ma non mi sento di
attribuire responsabilità alla Chiesa. Siamo stati i primi a lanciare
l’allarme, inascoltati. Adesso se ne accorgono in tanti, sebbene non
veda ancora decisioni adeguate. Forse, sulla disoccupazione la Chiesa
dovrebbe avere idee più chiare e coraggiose. E dire che la certezza del
lavoro è essenziale ma che è finita l’epoca del posto fisso».
E i valori morali? Non arrivano sempre buoni esempi anche da uomini di Chiesa.
«I
valori morali appartengono alla sostanza della nostra fede. Ogni volta
che un uomo di Chiesa dà scandalo, si rende responsabile di una
inaccettabile contro-testimonianza. La Chiesa però, nel suo complesso,
si impegna, e molto, per affermarli. Ma la sua opera è spesso
soverchiata da forze che spingono in senso contrario».
Il sì alle
unioni civili e al fine vita ha archiviato l’idea di un’Italia
«eccezione» in un’Europa secolarizzata. È opinione generale che sia un
passo avanti. Per lei no?
«Come posso ritenerlo un passo avanti? È
una triste deviazione. La sacralità della vita e il matrimonio sono
alle fondamenta della nostra civiltà: non per nulla sono stati a lungo
un patrimonio condiviso. Ha poco senso lamentarsi del decadimento morale
dell’Italia e poi approvare leggi del genere».
Sul fine vita, i sostenitori citano le parole del Papa contro l’accanimento terapeutico. Non hanno qualche ragione?
«Direi proprio di no. Il Papa ha ripetutamente escluso l’eutanasia. E invece la legge le apre le porte, pur senza nominarla».
Quale Chiesa sta prevalendo? Quella che resiste alla modernità o quella che la asseconda?
«Fatico
a riconoscermi in questa alternativa anche se la comprendo. Secondo me
non basta né resistere alla modernità, né assecondarla. Il primo
atteggiamento porta il cristianesimo fuori dalla storia, il secondo lo
svuota della sua sostanza. Non è facile, ma occorre stare dentro alla
modernità per orientarla in senso cristiano, senza subirla passivamente.
È la lezione del Concilio Vaticano II».
Le leggi che critica sono passate con un governo che aveva esponenti cattolici in prima fila. Non deve farvi riflettere?
«Sicuramente.
E la principale conclusione da ricavare è che la fede stenta a tradursi
in cultura, in capacità di valutazione e di giudizio. Questo è
probabilmente uno dei limiti maggiori della formazione che diamo nelle
parrocchie e nelle associazioni».
Anche lei come il Papa vede un’Europa nonna sterile?
«Almeno
per un aspetto è difficile contestare questa affermazione: quasi tutta
l’Europa è in crisi demografica, abitata da persone anziane. E noi
anziani raramente siamo intraprendenti e creativi. L’unità europea è un
bene essenziale, particolarmente per l’Italia. Ma deve concentrarsi sui
grandi temi dell’economia, della politica estera, della difesa, non
pretendere di livellare stili di vita diversi, altrimenti l’Europa
diventa invisa ai popoli».
Il modo in cui la Chiesa tratta
l’immigrazione è compreso e condiviso, secondo lei? Non teme che per
paradosso possa alimentare la xenofobia?
«Mi rendo conto che il
comportamento della Chiesa incontra critiche e opposizioni. Purtroppo si
interpretano come pericoloso buonismo le esigenze della carità
cristiana. Così diventa possibile perfino il paradosso che la Chiesa
alimenti la xenofobia, alla quale invece la Chiesa è forse il maggior
freno. Questo non esclude che uomini di Chiesa sottovalutino i gravami
che un’immigrazione troppo massiccia e poco regolata impone alle fasce
più umili della popolazione».
Che cosa la colpisce in questa campagna elettorale?
«L’Italia
sta emergendo da un periodo difficile, con poche certezze. Perciò molti
italiani sono, comprensibilmente, arrabbiati. I partiti colgono questo
stato d’animo e cercano di volgerlo a proprio vantaggio. Vedo polemiche
più che proposte, ma dopo le elezioni le acque dovrebbero calmarsi. Il
vero pericolo è che gli eccessi polemici alimentino l’astensionismo:
confidiamo nella maturità degli italiani».
Finito il
collateralismo con la Dc e poi, negli Anni Novanta, col centrodestra,
quale può essere il rapporto tra la politica e il mondo cattolico?
«Ho
vissuto le due fasi che lei chiama collateralismo. Con la Dc parlerei
di sostegno critico, un sostegno che nel primo dopoguerra è stato
decisivo per il bene dell’Italia. Col centrodestra il rapporto è stato
diverso: finita l’unità politica dei cattolici, la Chiesa non ha più
indicato partiti da sostenere, ma ha sottolineato contenuti e valori.
Con essi i diversi schieramenti hanno rivendicato la propria consonanza,
della quale però restavano giudici gli elettori. In questo, il
centrodestra ha avuto probabilmente più successo del centrosinistra».
E oggi?
«C’è
una fase nuova, nella quale i cattolici rischiano di essere sempre meno
rilevanti, nonostante il loro grande contributo alla vita sociale. Per
evitare questo esito, è indispensabile potenziare le capacità di
tradurre la fede in cultura e in azione politica».
È contento che la Costituzione sia uscita indenne dal referendum del 4 dicembre 2016?
«Farei
meglio a non rispondere: la domanda ha un taglio troppo politico. Ma
voglio essere sincero, sperando di non essere equivocato. Sono contento
che la Costituzione non abbia subito le modifiche sottoposte a
referendum, anche per il contesto nel quale venivano a collocarsi. Ciò
non significa che la Costituzione non necessiti di aggiornamenti».
Come si spiega la vittoria dei «no»?
«Forse il fattore più rilevante è stato il rifiuto della prospettiva di un uomo solo al comando».