Corriere 8.2.18
Psicologia
Dalla tradizione freudiana alle sfide di oggi, il saggio di Paola Marion (Donzelli)
La tecnologia ha sconnesso persino il triangolo di Edipo
di Silvia Vegetti Finzi
Nel
secolo scorso due avvenimenti epocali hanno infranto il paradigma della
procreazione umana: la sessualità si è resa autonoma dalla generazione
e, successivamente, la procreazione si e disgiunta dalla sessualità. Si
tratta di profonde infrazioni nella concezione che abbiamo di noi
stessi, dei rapporti con gli altri, con la natura, la società, l’etica e
la storia. Ma, come accade per i traumi più gravi, abbiamo preferito
rimuoverli o minimizzarli considerandole come forme di liberazione o
interventi terapeutici. Solo in un secondo tempo, nell’ après coup che
separa il trauma dalla sua elaborazione, è iniziato quel lento, doloroso
processo di consapevolezza che porta a valutare le conseguenze reali e
fantastiche, oggettive e soggettive di quanto è accaduto fuori e dentro
di noi, come si ripromette il saggio della psicoanalista Paola Marion,
Il disagio del desiderio , pubblicato da Donzelli.
Si tratta di un
libro tanto opportuno quanto esauriente, rivolto non solo agli addetti
ai lavori ma a tutti, perché nessuno può considerarsi indifferente
rispetto ai quesiti che questa epoca ci pone.
Invitando il lettore
ad affrontare un ambito così mobile e complesso, Paola Marion fornisce,
nella prima parte del libro, le competenze storiche e teoriche
necessarie per seguirla in un’esplorazione psicoanalitica appassionante e
innovativa. Poiché le biotecnologie procedono espellendo il sesso dalla
procreazione, la sua ricerca prende le mosse proprio dalla sessualità
che la psicoanalisi aveva posto al centro della vita biologica e
psichica. Integrando la teoria freudiana, che privilegia la pulsione,
con quella post-freudiana, che sottolinea gli aspetti relazionali della
sessualità, l’autrice appronta un dispositivo teorico e clinico
particolarmente idoneo a cogliere la complessità dei mutamenti in atto.
Primo tra i quali la disintegrazione del triangolo edipico (formato da
padre, madre, figlio), gravato, come effetto delle biotecnologie, da un
eccesso di protagonisti. Nella gravidanza indotta con dono di gameti e
condotta per conto terzi, ad esempio, le madri possono essere tre:
genetica, portante, committente.
La «vertigine tecnologica» tende
ad annullare i limiti e le differenze tra le generazioni, i sessi e le
posizioni. È possibile generare da soli, con partner dello stesso sesso,
dopo l’età feconda, post mortem e così via.
Ma queste soluzioni
impreviste pongono richieste psicologiche ed etiche sempre più
impegnative. Il comprensibile desiderio di prolungare la propria vita si
può trasformare in un bisogno necessario e insopprimibile che conduce a
una pericolosa coazione a ripetere.
L’autrice conclude la sua
discesa verso le profondità della psiche con un appello alla
responsabilità verso se stessi e verso gli altri.
Lo stesso che,
in una magistrale introduzione, esprime Giuliano Amato, preoccupato che
uno sviluppo illimitato delle nostre potenzialità trasformative possa
«creare intorno a noi un contesto nel quale non siamo più in grado di
riconoscerci». Dietro le neutrali finalità terapeutiche della
fecondazione medicalmente indotta si cela un ventaglio di desideri e di
possibilità che minacciano, tra l’altro, l’interesse prioritario del
nascituro. Ma, prima di affidare al legislatore il compito di dirimere
una materia così intricata e sfuggente, Amato chiede a tutte le
componenti della società di interrogarsi e di confrontarsi in una
dimensione etica perché «è solo l’etica che può entrare nelle coscienze e
qui dettare, quando serve, il comando giusto».