mercoledì 7 febbraio 2018

Corriere 7.2.18
Duda firma la legge che pretende di cambiare la storia della Polonia
di Maria Serena Natale


«Vuole che viva solo per lei e con lei. Meglio se in una stanza buia, chiusa...». Con grazia folgorante Wislawa Szymborska parlava della memoria, del corpo a corpo quotidiano con i ricordi che lei, poetessa delle piccole storie «figlia del secolo», conosceva bene. Oggi nella sua Polonia la Storia è ancora un campo di macerie. Il presidente della Repubblica Andrzej Duda ha firmato la legge che prevede fino a tre anni di carcere per chiunque, anche cittadino straniero, accusi la nazione polacca di complicità con i crimini nazisti. È la norma che vieta di definire i lager «polacchi». Si tratta di una vecchia battaglia dei governi di Varsavia, ora inserita a pieno titolo nella strategia politica dei nazional-conservatori di Jaroslaw Kaczynski che hanno sempre fatto del passato un terreno di auto-affermazione e resa dei conti, scontrandosi prima con i rivali interni, la Ue e la Germania, adesso con Israele, Usa, Ucraina. Un approccio che risente di riflessi revanscisti mai del tutto superati nella Polonia «Cristo delle nazioni», a sua volta vittima del nazismo. Duda assicura che il provvedimento tutelerà «la verità storica e la dignità» dello Stato ma chiede alla Corte costituzionale di verificarne la conformità alla Legge fondamentale che garantisce la libertà d’espressione, aprendo a modifiche parlamentari. Irriducibile a quella giuridica, la verità storica sullo sterminio di sei milioni di ebrei (tre milioni erano polacchi) non si piega alle ragioni della dignità nazionale. La legge sulla Shoah trasforma la memoria in ossessione, negandone la natura di continuo processo di elaborazione, materia viva da tramandare, con il suo carico di complessità e dolore, fuori dalle stanze buie di Szymborska, «... ma qui nei miei piani c’è sempre il sole presente, le nuvole di oggi, le vie giorno per giorno».