Corriere 28.2.18
Sesso con i cooperanti per un pezzo di sapone Ora l’Onu è sotto accusa
di Lorenzo Cremonesi
ERBIL
(Iraq) Sesso in cambio di aiuti umanitari in Siria. Donne e ragazze,
specie le più deboli, come orfane, vedove, sfollate con i bambini
piccoli, costrette a «concedere favori personali» per ottenere cibo, una
tenda, vestiti, un pezzo di sapone. E tutto ciò da personale locale
impiegato dalle agenzie Onu. Difficile pensare a un crimine più odioso:
quelle stesse organizzazioni che dovrebbero dare un briciolo di speranza
a popolazioni disperate, prive di tutto, hanno loro rappresentanti che
ricattano, abusano, violano le donne grazie alla loro posizione di forza
e privilegio. La denuncia arriva scandalosa e ben documentata dalla Bbc
per ironia della sorte nella giornata mondiale delle associazioni non
profit e mentre cresce lo scandalo degli abusi che sta interessando
alcune tra le organizzazioni non governative più importanti, come la
britannica Oxfam.
Il pericolo è però quello di criminalizzare
l’intero sistema degli aiuti umanitari, che resta fondamentale e vitale
per aiutare le popolazioni investite dai conflitti e dalle crisi in
tutto il mondo. Non a caso sono proprio le agenzie Onu e le
organizzazioni di aiuto operanti in Siria a svolgere in questi giorni un
ruolo cruciale per farci conoscere il dramma di Ghouta alle porte di
Damasco. Come ripetono spesso i veterani Onu sul campo: «L’universo
umanitario è fatto di santi, ma anche di cinici e persino criminali».
Ciò
detto, le accuse della Bbc sono estremamente gravi. Si cita un rapporto
interno del «United Nations Population Fund» (Unfpa) intitolato «Voci
dalla Siria 2018» che parla di «donne e ragazze costrette a concludere
matrimoni temporanei con ufficiali operanti per l’Onu con l’obbiettivo
di ricevere razioni di cibo. Gli ufficiali chiedevano i loro numeri
telefonici, si facevano portare nelle loro case per ottenere favori e
spendere la notte con loro». Un fenomeno che pare fosse particolarmente
diffuso nelle città di Daraa e Quneitra, nel sud della Siria. Le più
esposte erano donne senza «protezione maschile». La cosa grave è che se
ne parla da anni, almeno dal 2015. L’emittente inglese cita Danielle
Spencer, operatrice umanitaria, la quale afferma di averne sentito
sussurrare ripetutamente tra i profughi siriani in Giordania. A suo
dire, particolarmente aggressivi erano i membri dei consigli locali
delle due città siriane, che «non fornivano alcun tipo di assistenza se
prima non avessero ricevuto favori sessuali». E il fenomeno era talmente
diffuso che alcune donne decisero di non chiedere più alcun aiuto. La
ragione? Quelle che lo ricevevano venivano stigmatizzate tra le loro
comunità come «consenzienti» agli abusi dei funzionari corrotti. Nel
giugno 2015 un rapporto interno dell’International Rescue Committee
(Irc) effettuò un sondaggio dagli esiti sorprendenti: su 190 donne
provenienti da quelle zone il 40% aveva subito una qualche forma di
violenza sessuale. E, quando l’agenzia «Care» chiese di poter
investigare, le agenzie Onu per i profughi (specie Unhcr e Cocha) lo
vietarono, argomentando che era prioritario utilizzare il personale
locale nei luoghi dove gli internazionali non potevano accedere.
«Si
tratta di un problema antico e noto», spiega al Corriere un alto
funzionario Onu in Iraq. «Sappiamo da anni che il ricorso ad agenzie
locali in zone ad alto rischio per i funzionari stranieri comporta
problemi di abusi e violazioni dei nostri codici di comportamento. Ma in
certi casi non abbiamo scelta. In Siria è una costante, come del resto
in Libia e in certe zone dell’Africa. Senza i locali gli aiuti non
arrivano del tutto». Se ne parlava in Ciad tra il 2008 e 2011. Ma non
occorre andare tra i disperati nelle zone di guerra per trovare fenomeni
simili. La «Green Zone» di Bagdad nel 2012-13 fu scossa da gravi
scandali interni quando venne alla luce che alcuni responsabili Unami
(la missione Onu in Iraq) e del World Food Program ricattavano le
funzionarie locali: il rinnovo dei contratti in cambio di sesso. Il
fenomeno è amplificato in certi casi per le agenzie non governative
internazionali, specie le minori, dove può capitare che il personale non
sia stato selezionato con l’attenzione dovuta. A Kabul il giro di
prostitute cinesi alimentato dai volontari internazionali, assieme alla
diffusione dell’alcol nei locali degli stranieri, fu tra le cause delle
violente rivolte popolari del 2006.