sabato 24 febbraio 2018

Corriere 24.2.18
Il tifo (inaspettato) per Emma Bonino
Il leader di Forza Italia e il tifo perché Bonino superi la soglia del 3%
Le preoccupazioni di Meloni per le strategie azzurre
di Francesco Verderami


Da giorni il nome più evocato nel centrodestra è quello di un’avversaria, Emma Bonino, al centro di una strana disputa tra alleati.
Il primo a parlarne è stato Berlusconi, che discretamente fa il tifo per l’esponente radicale e confida riesca a superare il 3%. Ce n’è traccia in alcuni conversari, discussioni che come spesso accade hanno superato i cancelli di Arcore e hanno fatto drizzare le antenne agli alleati. Non è chiaro se l’interesse del Cavaliere sia riconducibile proprio alla Bonino o ai candidati della sua lista, che diverrebbero parlamentari se +Europa superasse la soglia di sbarramento. E tra questi — raccontavano autorevoli esponenti di Forza Italia — ci sarebbero «potenziali sostenitori» di un governo di centrodestra, che sembra rimanere sempre «a un passo» dalla conquista della maggioranza assoluta di seggi nelle Camere.
La storia dell’ipotetica transumanza subito dopo il voto non aveva però convinto i partner, e infatti i dirigenti di Nci si erano premurati a dare una veste politica ai pour parler di Berlusconi sulla Bonino, ricordando che era stato il Cavaliere a indicarla come commissario italiano a Bruxelles, e che magari — con un gabinetto a trazione moderata, guidato dall’attuale presidente dell’Europarlamento — potrebbe convincerla a garantire un esecutivo nell’interesse del Paese. Supposizioni e congetture al limite del fantasioso erano rimaste custodite fino a ieri nel recinto della riservatezza, finché la Meloni ha reso pubblica la querelle.
«Nella scelta del candidato-premier della coalizione non mi impegno a sostenere persone che non conosco», è sbottata la presidente di FdI: «Abbiamo stabilito che il partito più votato dell’alleanza esprimerà il presidente del Consiglio, ma i nomi vanno annunciati prima del 4 marzo o per me non se ne fa nulla». Il motivo della sortita è legato al fatto che Berlusconi continua a ripetere di avere «nomi coperti» per Palazzo Chigi, e la Meloni da tempo cova il sospetto. «Se mi dice la Bonino salta tutto. Ed è la Bonino, datemi retta», aveva confidato al suo gruppo dirigente: «La sostengono i poteri forti nazionali e internazionali, le cancellerie europee, Israele. Manca solo la Chiesa...».
Forse la Curia no, ma il Papa aveva avuto per lei parole di elogio nella conversazione con Massimo Franco pubblicata dal Corriere nel febbraio del 2016: «È la persona che conosce meglio l’Africa. Mi dicono: è gente che la pensa in modo diverso da noi. Vero, ma pazienza. Bisogna guardare alle persone, a quello che fanno». Ora, a parte il fatto che la Bonino sarebbe il primo caso di candidato premier di un altro schieramento a sua insaputa, se nel centrodestra sono a un passo da una crisi di nervi è perché compiere quel «passo» che li separa dalla vittoria appare faticoso.
Perciò Berlusconi ha annunciato — a sorpresa — di esser pronto per una manifestazione comune con gli alleati: i focus e gli amatissimi sondaggi gli hanno fatto capire che così (forse) potrebbe spingere una parte degli indecisi a votare per Forza Italia. E non c’è dubbio che il risultato di Nci potrebbe essere quello che ieri l’ Economist definiva «l’asso nella manica del centrodestra». Superasse il 3% poi, offrirebbe un’ulteriore chance per la conquista di Palazzo Chigi: «Potremmo essere decisivi per tutto», dice Fitto, che giusto per spiegarsi ha già piazzato il veto su Salvini premier.
Ma siccome la maggioranza assoluta dei seggi sembra ormai una sorta di Graal della politica, la sua ricerca ha assunto contorni mitologici: così il dibattito attorno al nome di un avversario finisce per provocare un conflitto tra alleati. Se non fosse che la questione è solo all’apparenza surreale, perché la Bonino si è già espressa a favore di un governo di larga coalizione e non sarebbe l’innesto per la nascita di un gabinetto di centrodestra. Anche perché — oltre la Meloni — lo stesso Salvini non accetterebbe certe soluzioni se non battesse Berlusconi e non potesse reclamare il ruolo di premier.
La Bonino semmai è il cavallo di Troia con cui c’è chi mira ad espugnare definitivamente la cittadella diroccata del vecchio bipolarismo, è il possibile punto di riferimento di una parte del Palazzo contro l’altra. L’altra è quella a cui ieri ha dato voce il governatore pugliese Emiliano: «Se Di Maio fosse incaricato di formare il governo, il Pd dovrebbe sostenerlo». Pare incredibile, ma è l’effetto del Graal.