Repubblica 24.2.18
Il caso Lombardi
La deriva a destra sui migranti
di Tomaso Montanari
Quando
penso alle province del Lazio e ai suoi borghi, penso ad accogliere più
turismo, che rilanci l’economia locale, e meno migranti, che invece
pesano sull’economia locale. Non è questione di destra o di sinistra, ma
di #buonsenso».
Questa dichiarazione di Roberta Lombardi,
candidata 5 Stelle alla presidenza del Lazio, è un sintomo da non
trascurare. Di quale “buon senso” si parla? Di quel senso comune, per
nulla buono, per cui dei migranti non si ragiona come di esseri umani,
ma come di numeri o come di minacce (la “bomba sociale”). Lo stesso
“buon senso” per cui bisognerebbe «aiutarli a casa loro» (e questo l’ha
scritto Matteo Renzi, dimenticando l’articolo 10 della Costituzione, che
dice che l’Italia è casa di tutti coloro che non hanno i nostri stessi
diritti), o sostenere mamme e famiglie italiane, «se uno vuole
continuare la nostra razza» (Patrizia Prestipino, Pd). Non cito le
innumerevoli frasi di esponenti della Lega, Fratelli d’Italia e
organizzazioni fasciste perché ciò che mi interessa stigmatizzare è la
penetrazione di idee di fatto razziste in quello che appunto si presenta
come il senso comune. È lo slittamento generale a destra, addirittura
l’egemonia di questo non-pensiero, il principale avversario di ogni
prospettiva democratica. Luigi Manconi e Federica Resta hanno
recentemente argomentato (nel libro Non sono razzista, ma…, Feltrinelli
2017) circa i nessi tra questa indifferenza morale verso i migranti e
quella verso gli ebrei, al tempo dell’Olocausto: «L’indifferenza della
vita di ogni singolo in un mondo la cui legge era disinteresse per
l’altro e vantaggio individuale universale» (T. Adorno). Nel caso di
Lombardi la dichiarazione ha anche un’altra chiave di lettura. Sarebbe
di “buon senso” immaginare i borghi spopolati delle aree interne come
grandi alberghi diffusi per turisti. Questa idea rischia di dare la
mazzata finale a una parte del Paese in cui è ancora possibile coltivare
uno stile di vita non del tutto appiattito sull’alienazione morale
delle metropoli.
Come spiega Vito Teti in Quel che resta.
L’Italia dei Paesi tra abbandoni e ritorni
(Donzelli
2017) è proprio questa Italia minore e sofferente che può ridare senso e
sapore all’Italia apparentemente vincente. A patto che non la
trasformiamo in un gigantesco parco a tema per turisti, ma la aiutiamo a
rifarsi tessuto civile: anche con l’integrazione di nuovi italiani,
qualunque sia il colore della loro pelle.
«Ripopoliamo le aree
spopolate dell’Appennino con immigrati e rifugiati», ha proposto il
“paesologo” Franco Arminio. «Nella città vecchia il popolo nuovo», ha
detto l’urbanista Ilaria Agostini, chiedendo che i centri storici
spopolati delle città d’arte siano luoghi di integrazione. E i concreti
esempi positivi non mancano, a partire da quello notissimo di Riace.
Investire
in questa direzione significa, sul medio e lungo periodo, favorire il
“progresso materiale e spirituale della società” (articolo 4 della
Costituzione).
Con quali soldi? È stato calcolato che con i sei
miliardi di euro che l’Ue ha dato alla Turchia di Erdogan per bloccare i
rifugiati, si sarebbero potuti accogliere e integrare tre milioni di
migranti. Questo è buon senso. Così come è buon senso trovare
intollerabile che i migranti affoghino nel mare in cui facciamo il bagno
d’estate, o che siano chiusi in campi di concentramento pagati dai
nostri governi. E questa orrenda campagna elettorale ha un bisogno di
trovare un senso. Possibilmente buono.