Corriere 23.3.18
Marcello Flores direttore scientifico degli Istituti per la storia della Resistenza
Il docente contesta Pansa
«Per riscriverla servono prove». «Il golpe comunista, altra tesi infondata»
di Massimo Rebotti
Milano
Lo storico Marcello Flores è direttore scientifico degli Istituti per
la storia della Resistenza. Quella storia che secondo Giampaolo Pansa,
intervistato da Aldo Cazzullo sul Corriere , andrebbe «riscritta» perché
«falsa». Flores ha letto immediatamente l’ultimo libro di Pansa,
Uccidete il comandante bianco , sulla morte di Aldo Gastaldi, l’unico
comandante partigiano non comunista in Liguria.
Cosa ne pensa?
«È
un libro disonesto dal punto di vista storico, non vengono indicate le
fonti. Pansa stesso scrive che “molti passaggi sono ideati da me”.
Questo lo rende più simile a un romanzo».
L’autore ha accusato voi storici di avere mentito. Si è sentito punto sul vivo?
«Come
si può dire a un’intera categoria di persone che mente? È come se io
dicessi che tutti i giornalisti mentono. Pansa è stato un grande
giornalista, anni fa lo avevo anche invitato a confrontarci
pubblicamente. Non volle».
Lo rifarebbe?
«Se si parla di
storia, sono pronto. In questo libro, per esempio, scrive che il
comandante “venne assassinato da un complotto politico”. Poi spiega di
non avere elementi, che si tratta di una sua convinzione, che “c’erano
delle voci”. Non si fa storia così. Io ho studiato i gulag, le vittime
vere del comunismo. Le “voci” sono ipotesi di lavoro, poi si cercano i
riscontri».
Ma vittime «vere» i comunisti italiani nel Dopoguerra ne hanno fatte.
«Certo.
Pansa parla di 800 morti a Genova dopo la Liberazione. Finora risulta,
anche da fonti dei fascisti di allora, che furono 2-300. Un numero
enorme, intendiamoci, ma perché dire 800? Enfatizzare è da narratori,
non da storici».
Pansa pone anche un tema generale: la storia della Resistenza va riscritta.
«In
generale riscrivere la storia è importante per ogni generazione. Ma il
suo obiettivo polemico non esiste più da decenni. Ha in mente la
narrazione che facevano i comunisti negli anni 50-60, ma sono ormai 40
anni che la storia della Resistenza viene “riscritta”».
Sostiene che «il mito» non ci sia più?
«Mi
sono laureato nel 1970 proprio in polemica con quella narrazione
comunista. Ma l’idea da cui muove Pansa, che i comunisti nel Dopoguerra
fossero pronti a un colpo di Stato, è fondata sul nulla dal punto di
vista storiografico».
Sul nulla?
«Sì. Avrebbero dovuto
disobbedire a Stalin che disse chiaramente al Pci — ci sono fior di
studi in merito — di non fare come in Grecia. Anche nelle reazioni dopo
l’attentato a Togliatti non c’era niente di organizzato. Qualche
comunista, certo, auspicava una presa del potere violenta, ma nessuno
dei dirigenti pensava che si dovesse o si potesse fare».
Difende la storia per come è stata «scritta» finora?
«Questa
idea che la Resistenza non è mai come ce la raccontano, che è stata una
guerra tra italiani, buoni e cattivi in entrambi gli schieramenti, con
la maggioranza interessata solo a farsi gli affari suoi, ecco, questa
idea di Pansa è profondamente pessimista sulla coscienza civile degli
italiani: una sorta di disfattismo morale. Il contrario di ciò che la
Resistenza fu».