il manifesto 23.2.18
L’ansia di controllo sul corpo estraneo
«I nuovi volti del fascismo» dello storico Enzo Traverso
Il
postfascismo non ha alcun progetto di società futura, nessun inedito
sistema sociale da proporre. Liberato dalla funzione anticomunista, si
permette posture antiliberiste, antiborghesi e filo operaie
di Marco Bascetta
Fascismo
e antifascismo sono tornati prepotentemente in un dibattito pubblico
infestato di equivoci, di retorica e di sfacciate strumentalizzazioni
dei fatti di cronaca. Destra e sinistra si accusano reciprocamente di
prendere di mira un bersaglio da tempo defunto, il fascismo o il
comunismo (il cui spettro comincia però ad andare davvero in soffitta)
con lo scopo di negare ogni legittimità all’avversario politico. E, in
effetti, se consideriamo uno dei fattori determinanti della diffusione
dei fascismi negli anni Venti e Trenta del Novecento la contrapposizione
alla rivoluzione bolscevica e ai movimenti che vi si ispiravano, la
partita, in questo inizio del XXI secolo, appare chiusa da un pezzo.
FASCISMO
E COMUNISMO finirebbero, insomma, per equivalere a categorie
storico-politiche come giacobinismo o sanfedismo che, sottratte al loro
contesto cronologico, si limiterebbero a designare un atteggiamento
mentale, un lontano sfondo ideologico, un modo di percepire la realtà
circostante e di reagire alle contraddizioni che la attraversano. «La
parola ‘fascismo’, a ben riflettere – scrive lo storico Enzo Traverso –
si rivela più come un ostacolo che come un elemento chiarificatore della
discussione» (I nuovi volti del fascismo, ombre corte, pp.140. euro
13). Come anche il termine populismo si applica infatti a un gran numero
di fenomeni assai eterogenei, dalle destre radicali europee fino al
cosiddetto islamo-fascismo di Daesh, definizione più emotiva che utile a
inquadrare il fenomeno.
Per sottrarsi a questa confusione tra
vecchio e nuovo Traverso sceglie di ricorrere al termine «postfascismo»
con il quale si intende designare una discendenza dal fascismo classico
che se ne è tuttavia emancipata introducendo elementi estranei a quella
tradizione, senza ancora, tuttavia, cristallizzarsi in una forma
politica ben definita. L’esempio cui fa più estesamente ricorso è quello
del Front National che Marine Le Pen ha appunto emancipato dal puro
fascismo paterno per traghettarlo verso una nuova identità politica
della destra ancora in costruzione. Un analogo processo di emancipazione
dalla «classicità» dell’anticapitalismo comunista e socialista lo si
può del resto osservare anche a sinistra in movimenti sociali (Occupy
Wall Street, Indignados, Nuit debout) e formazioni politiche (Podemos,
Syriza, Linke).
Qui finisce però ogni analogia, a dispetto del
tentativo dell’establishment liberista di omogenizzare tutto nel
calderone del «populismo». Questi accostamenti sono favoriti dal fatto
che un postfascismo liberato dalla funzione anticomunista del suo
progenitore, può ben permettersi posture antiliberiste, antiborghesi e
filo operaie, nonché proporsi come restauratore di un’autentica
democrazia garantita dalla sovranità nazionale contro le élites
transnazionali. La stessa miscela che alimenta le correnti politiche
cosiddette «rosso-brune». La distanza dai fascismi del Novecento non può
non accompagnarsi, tuttavia, con una qualche operazione di revisionismo
storico, magari non estrema alla David Irving, ma comunque dedita a
certificare errori e meriti, a spacchettare l’esperienza fascista onde
poterne reimpiegare questo o quell’aspetto. Non sono rare le
esternazioni di politici della destra che si propongono di salvare il
fascismo dai suoi errori, occultando, per esempio, la coerenza tra
l’entrata in guerra e la forma mentis stessa del fascismo.
IL
FULCRO DELL’IDEOLOGIA postfascista (condiviso però in forme più urbane e
moderate anche da formazioni di centro-sinistra) è il nazionalismo
riproposto nella forma dell’identità nazionale. «In fondo – avverte
Traverso – ciò che interessa la destra quando parla di identità, è in
realtà l’identificazione, cioè le politiche di controllo sociale
adottate fin dal XIX secolo in Europa: controllo dei flussi di
popolazione e delle migrazioni interne, schedatura degli stranieri, dei
criminali, dei sovversivi». Temi securitari in buona parte condivisi
dalle sinistre di governo europee, che virano immancabilmente verso
soluzioni autoritarie. Basti pensare alle misure volute dal presidente
socialista Hollande in Francia.
QUEST’ANSIA DI CONTROLLO è
sostanzialmente orientata a un disegno di conservazione. Il postfascismo
non ha infatti, a differenza del suo antenato novecentesco, alcun
progetto di società futura, nessun inedito sistema sociale da proporre.
Il suo discorso è giocato tutto sulla difensiva, sulla salvaguardia di
un già noto, di una tradizione che si vuole insidiata dalla
globalizzazione, dai flussi migratori, dalle influenze culturali
«aliene».
NEL SOLCO del ressentiment nietzscheano possiede una
natura strettamente reattiva. Che trova terreno fertile nella paura e
nell’incertezza seminate dalla crisi economica, nel vuoto politico
prodotto dalla controrivoluzione neoliberista. Questa assenza di
progetto consente al postfascismo di agire nella maniera più pragmatica e
insidiosa discostandosi anche, quando serve, dalla stessa ideologia che
professa con postmoderna spregiudicatezza. Di adattare alle circostanze
date questo o quel segmento opportunamente ribattezzato dello
strumentario politico fascista. La composizione sociale a cui si rivolge
non è più quella omogenea e massificata del secolo scorso, ma quella
frammentata, instabile ed esposta alla contingenza del mondo
postfordista.
L’antifascismo, che per definizione ha anch’esso un
carattere difensivo, vuoi nella forma del patriottismo costituzionale,
vuoi nella salvaguardia di un sistema di valori ripetutamente
proclamati, ha dunque il problema di imparare ad agire in questa stessa
dimensione del post. Disporsi a combattere un preteso ritorno del
fascismo più o meno classico da una posizione istituzionale e
legalitaria costituisce una scelta rituale, inefficace, autoassolutoria.
Non
basta il ricorso alla memoria e la pur essenziale difesa della verità
storica. Senza entrare nello spazio politico del disagio sociale in cui
il postfascismo e la destra estrema crescono e si sviluppano,
reinventando un’ideologia autoritaria adattata alla contemporaneità,
l’antifascismo resterà impastoiato tra proibizionismo ideologico e
questioni di ordine pubblico.
Ma quello che si rivela ancora più
pericoloso è quando le politiche governative entrano in questo spazio
politico interpretandolo, come nel caso dell’immigrazione, in forme
analoghe a quelle utilizzate dalla destra, imputando cioè alla eccessiva
presenza del suo bersaglio, il discriminato, la responsabilità del
razzismo imperante. Così come – Traverso lo spiega chiaramente – il
patriottismo repubblicano in Francia è del tutto impotente a
fronteggiare il Front national che lo abita comodamente, l’antifascismo
rituale in Italia non è in grado di contrastare una destra xenofoba
sempre più arrogante e aggressiva.
Al postfascismo si affianca
infine una galassia neofascista che rivendica apertamente, talvolta più
larvatamente per sfuggire alla legislazione antifascista (in Italia
leggi Scelba e Mancino), una linea ereditaria che discende dal fascismo
storico. Lo scioglimento di queste formazioni non ha mai impedito la
loro rinascita con altre sigle e denominazioni e ha invece innescato le
crociate delle destre che, sotto la bandiera della legalità, invocano
ricorrentemente la messa al bando di movimenti e gruppi antagonisti che
agiscono nel sociale fuori dalla sfera dei partiti.
LA PRESENZA
SEMPRE più incalzante e rumorosa della destra radicale tende inoltre a
precipitare queste realtà di movimento in una intensa militanza
antifascista che ne assorbe gran parte dell’energia, con quegli effetti
di logoramento e impoverimento che abbiamo già avuto modo di osservare
già negli anni Settanta. Come già allora la galassia neofascista non
costituisce tanto una minaccia diretta quanto un fattore di
condizionamento che attraverso il filtro postfascista si spinge fino
all’insieme del quadro politico e in alcuni paesi, come l’Ungheria, alla
stessa attività di governo.
Tuttavia, una minaccia immediata e
concreta il neofascismo la esercita davvero: sulla vita quotidiana dei
migranti. In numerosi paesi europei aggressioni e omicidi sono
all’ordine del giorno, così come il tentativo di circoscrivere queste
azioni violente alla pura e semplice sfera della criminalità o della
psicopatia. Negando così l’evidenza di una fitta circolazione di temi e
atteggiamenti tra queste frange estreme e il postfascismo mainstream.
Nonché il vero punto di congiunzione tra tutti i fascismi vecchi e
nuovi: la discriminazione e la persecuzione dell’altro, l’espulsione del
corpo estraneo, lo straniero come fenomeno perturbante e un’idea di
purezza che, all’occasione, trasloca dalla razza alla «identità
culturale».