Corriere 21.2.18
Saluti romani? Se chi li fa commemora non è reato
di Fulvio Fiano
Non
tutti i saluti romani sono uguali. È reato quello che sottintende
violenza, perché costituisce un attentato concreto all’ordine
democratico. È consentito quello che ha intenti commemorativi dell’epoca
fascista. Distinguerli sarà difficile e la decisione con cui la
Cassazione ha ieri confermato l’assoluzione due esponenti di CasaPound,
che avevano esibito braccio teso e mano dritta, apre altri possibili
fronti di polemica politica in una campagna elettorale dove il ventennio
mussoliniano è già un catalizzatore di scontri e tensioni. Segni e
simboli dell’ideologia fascista in sé non sono vietati dalla legge, è il
ragionamento dei supremi giudici. Marco Clemente e Matteo Ardolino,
membri di CasaPound, durante una manifestazione organizzata a Milano nel
2014 da Fratelli d’Italia, rispondendo alla «chiamata del presente»,
avevano fatto il saluto romano, trovandosi così imputati per «concorso
in manifestazione fascista», reato previsto all’articolo 5 della legge
Scelba. Nell’autorizzare la commemorazione la questura aveva diffidato
gli organizzatori dall’uso di bandiere e simboli quali le croci
celtiche. Divieto disatteso, ma senza che il corteo venisse interrotto. I
video avevano in seguito consentito di individuare i due imputati e
altri due manifestanti, tra cui l’ex consigliere provinciale di Fdi,
Roberta Capotosti, poi prosciolti nel 2016 da analoghe accuse. Già
allora la Cassazione aveva sottolineato che il reato previsto dalla
legge Scelba è «in pericolo concreto, che non sanziona le manifestazioni
del pensiero e dell’ideologia fascista in sé, attesa le libertà
garantite dall’articolo 21 della Costituzione, ma soltanto ove le stesse
possano determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni
fasciste, in relazione al momento e all’ambiente in cui sono compiute,
attentando concretamente alla tenuta dell’ordine democratico e dei
valori ad esso sottesi». Diverso sarebbe stato, secondo la suprema
Corte, intonare ad esempio «all’armi siam fascisti», ritenuto inno
all’odio e alla violenza e quindi punibile per legge.