Corriere 21.2.18
Non sparate sulla democrazia
Controlli e ripartizione dei poteri per ridurre il rischio degli incompetenti al governo
La
prefazione di Sabino Cassese a un saggio del filosofo politico
americano Jason Brennan (Luiss University Press) che critica i sistemi
rappresentativi
di Sabino Cassese
L’ipotesi di premiare i cittadini consapevoli
Docente
alla Georgetown University di Washington, il filosofo americano Jason
Brennan è nato nel 1979. Collocato su posizioni libertarie, è un critico
delle istituzioni statali e un convinto difensore del capitalismo e
delle libertà individuali. In Italia è uscito nel 2013, edito da Ibl
Libri, il suo saggio Breve storia della libertà , scritto insieme a
David Schmidtz (prefazione di Guido Vitiello, traduzione di Giuseppe
Barile). In Contro la democrazia (Luiss University Press) Brennan
propone di rimediare ai difetti dei regimi democratici con forme di
epistocrazia, cioè attribuendo una maggiore influenza politica agli
elettori più competenti, consapevoli e informati.
La
democrazia rappresentativa è nata come forma epistocratica e tale è
rimasta per lungo tempo, nell’antichità prima e poi in tutto il periodo
del suffragio limitato. L’elezione era considerata ancora alla fine del
XVIII secolo la scelta di chi possiede più saggezza per discernere e più
virtù per perseguire il bene comune ( Federalist papers , n. 57). Il
fondatore del diritto pubblico italiano, uno studioso che è stato attivo
anche come uomo politico per più di trent’anni, Vittorio Emanuele
Orlando, riteneva che l’elezione fosse una designazione di capacità: un
gruppo ristretto di elettori indicava quelli che riteneva capaci di
gestire problemi collettivi. Chi votava, sceglieva non solo kratos , ma
anche aretè e epistème , non solo forza, ma anche virtù e competenza.
Questo
valeva quando il suffragio era limitato per censo, o per grado di
istruzione, o per esperienza nell’esercizio di funzioni pubbliche.
Successivamente, il suffragio è stato allargato prima, progressivamente,
alle sole persone di sesso maschile, poi anche alle donne e si è
diffusa l’idea che all’eguaglianza nella titolarità dell’elettorato
attivo corrispondesse eguaglianza delle capacità.
Idea,
quest’ultima, molto singolare e persino smentita dalle norme. Singolare
perché è palese che l’aver attribuito ai cittadini un compito tanto
gravoso quanto il governo della «casa comune», in condizioni di
eguaglianza, non comporta che tutti i cittadini siano egualmente edotti
delle esigenze di gestione della «casa comune», capaci di scegliere tra i
diversi indirizzi di gestione, abili nello scegliere le persone giuste,
idonei ad assumere essi stessi funzioni di governo.
In secondo
luogo, la parificazione di eguaglianza formale e di eguaglianza
sostanziale in materia politica è smentita dalla Costituzione, la quale
riconosce la prima, ma prevede che la Repubblica abbia il compito di
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di
fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono l’«effettiva
partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del
Paese» (articolo 3). Quindi, la Costituzione assume che vi siano
diseguaglianze di diverso ordine che ostacolano l’effettiva
partecipazione politica. Di fatto, per circa un secolo, il vuoto creato
dal suffragio universale è stato riempito da un altro sistema di
formazione e di selezione: gli Stati hanno delegato il compito di
superare le diseguaglianze tra i cittadini, ai fini della partecipazione
politica, ai partiti, che hanno svolto il compito di «palestra» per la
formazione e la selezione dei candidati. Ma, a un certo punto, anche i
partiti sono venuti meno.
Oggi, anche per la diffusione di istanze
populistiche, molte classi dirigenti, nel nuovo millennio, hanno
raggiunto — ma non in tutti i Paesi in maniera eguale — un grado di
mediocrità tale da suscitare reazioni antidemocratiche. Una di queste,
molto ben articolata, si trova nel volume di Brennan, programmaticamente
intitolato Contro la democrazia (Luiss University Press), un’opera
nella quale il punto di partenza è che l’epistocrazia (il governo di
coloro che conoscono, dei competenti) condurrebbe a migliori decisioni,
più giustizia, più prosperità.
La democrazia rappresentativa è
criticata principalmente perché la maggior parte dell’elettorato ha bias
cognitivi che lo portano a deviare sistematicamente da scelte
razionali: basti pensare ai costi del terrorismo per gli Stati Uniti
(3.500 persone morte negli ultimi 50 anni e 30 miliardi di dollari),
comparati a quelli della guerra al terrorismo (8 mila morti, senza
calcolare i circa 100-200 mila civili innocenti stranieri e una spesa
oscillante tra 3 e 4 trilioni di dollari). Questi inconvenienti inducono
Brennan a proporre di distribuire il potere politico in proporzione
alla conoscenza o competenza.
Sono accettabili le proposte epistocratiche di Brennan?
In
primo luogo, Brennan non considera come operano gli ordini giuridici
democratici. Negli ordinamenti democratici, democrazia è contrapposta o
integrata da democrazia: negli Stati Uniti, si vota per le Contee, per
gli Stati, per il Congresso (separatamente per la Camera dei
rappresentanti e per il Senato). Dunque, un popolo non competente può
essere controllato, e corretto da altre istanze popolari.
Inoltre i
poteri pubblici non sono tutti egualmente democratici, perché non tutto
il potere è affidato a istituzioni democratico-elettive. Il potere è
ripartito ed in larga misura messo nelle mani di competenti, quali sono i
funzionari amministrativi e i giudici federali.
Brennan, come
molti studiosi della democrazia, non presta attenzione al pluralismo,
alla ripartizione del potere tra organismi diversi, agli ampi spazi nei
quali operano organismi i cui meccanismi di selezione sono epistocratici
o meritocratici, organismi che possono giungere persino a controllare
quelli democratici in senso stretto, perché elettivi.
Il plaidoyer
in favore di sistemi politici meno affidati a incompetenti è, quindi,
inutile? Non credo che sia inutile, perché vi sono ancora spazi per
innestare ulteriori elementi epistocratici nelle democrazie. Se
all’idraulico e al medico è richiesto di conoscere un mestiere, non è
opportuno richiedere a chi deve svolgere un compito tanto più
socialmente importante come quello di rappresentante o di governante, un
certo grado di preparazione?
Quindi, l’epistocrazia può operare
come correzione della democrazia, come un suo limite, non al posto della
democrazia. Oggi il suffragio universale è il meccanismo principale per
dare legittimità al governo e non se ne può fare a meno. Tuttavia,
requisiti ulteriori di candidabilità possono essere disposti, insieme
con azioni positive che diano un contenuto al principio di eguaglianza
in senso sostanziale, per rendere concreto l’art. 3 della Costituzione.